Scende la sera, immobili sono i prati. Il gorgogliare del ruscello assetato silente tutto il giorno si leva di nuovo. Abbandonata è la quasi falciata pianura, silenziose le stoppie..........E lontano sul puro orizzonte vedi pulsante per la prima stella il liquido cielo sopra la collina.

venerdì 31 dicembre 2010

Tobia e Sara.



Tobia e Sara terminano la loro preghiera a Dio con le seguenti parole: " Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia". gli sposi del Cantico dei Cantici dichiarano vicendevolmente con parole ardenti il loro amore umano. Gli sposi novelli del Libro di Tobia chiedono a Dio di saper rispondere all'amore e dissero insieme:" Amen!" Poi dormirono per tutta la notte.Essi commuovono più profondamente degli sposi del Cantico dei Cantici e confermano in modo diverso il loro amore. Oggi è anacronistico immaginare tali emozioni figurarsi viverle e se qualcuno prova ancora simili sentimenti è meglio che non ne faccia pubblicità o verrà umiliato e deriso da chi li invidia profondamente e tenta con il discredito di avvallare che non c'è più nulla da fare, sono malati di romanticismo. Anacronistico non significa impossibile ed auguro a dei novelli Tobia e Sara tanta felicità e coraggio! So che ci sono da qualche parte, lo so!

Ridere di sè stessi....



Non potevano esservi stati altri due cuori così aperti, altri gusti così simili, altri sentimenti così all'unisono......Jane Austen, PERSUASIONE
Il film La casa sul lago del tempo ribadisce che bisogna guardare la vita in faccia sempre e conoscerla per quello che è alla fine conoscerla, amarla per quello che è e poi metterla da parte. Il film ribadisce l'antico ed infallibile luogo comune che vuole i sentimenti (in questo caso espressi tramite le parole scritte) più efficaci di qualsiasi attrazione fisica. Ci sarebbe di che parlare per ore su questo argomento...... non mi viene altro da dire che...... "nell'era dei messaggi sms con sigle e frasi idiomatiche al posto delle parole vere e proprie forse non vogliamo più concedere tempo neppure alla scrittura e non solo ai pensieri. Non esistiamo più se non in funzione di epigrammi scolpiti sulle lapidi delle nostre vite ancora in divenire. I latini amanti delle epigrafi sarebbero inorriditi, i greci con una lingua musicale e simile ad un disegno, gli arabi con i loro ricami penserebbero di noi che non abbiamo più cellule cerebrali. Nessun pensiero, nessuna parola, nessuna emozione....la vita ridotta a frasi pubblicitarie per vendere sè stessi e non i propri vestiti da riciclare. Senti che la superficie si è indurita come in inverno il ghiaccio sulle strade verso le due del pomeriggio diventa un rivolo d'acqua ed alla sera ritorna ghiaccio, così siamo noi. Che senso ha parlare di sentimenti se questi non hanno più un alfabeto per essere tradotti, non si riconoscono più neppure fra di loro. Amicizia, amore, lealtà, onore, non sanno più di essere parenti, sono estranei che si sfiorano ed infastiditi si allontanano l'uno dall'altro. Mancano pochi minuti alla fine dell'anno, cosa significa finire un anno oppure cominciarne un altro. Nulla di più che continuare ad esistere, il ciclo continua o si ripete dipende da noi....gli auguri si dovrebbero fare in funzione delle nostre aspettative od in funzione di quelle delle persone cui sono diretti. conosciamo poco di noi stessi, gli altri sono così simili a dei libri aperti? Tentiamo e questo sforzo ripaga da tutte le sconfitte passate e future concedendoci a volte delle piacevoli soprese, delle vittorie di Pirro certo ma tali da farci persistere nella ricerca di quello che sosteneva Jane Austen in Persuasione. Cuori aperti vien da pensare ad un trapianto cardiaco e non a due esseri pronti a donarsi,gusti simili fa venire in mente ad un'indagine di mercato di una catena di discount, sentimenti all'unisono forse questo farebbe ridere chi scrive canzoni, oggi funzionano di più altri accordi musicali e le parole sono come timbri su un passaporto, anonime e sbiadite. per chi ancora ci crede è una bella sfida e fatica continuare a crederci. auguri a coloro che non smettono di leggere e di vivere Jane Austen. Il ridicolo non li tocca e chi sa ridere di sè stesso è un eroe oggi come ieri!

Quando....



Quando si ride ci si lascia andare, si è nudi, ci si scopre. Quando uno ride, vedi un po' la sua anima. Roberto Benigni.
Vero, non puoi mentire quando ridi di gusto, è un'impronta digitale della tua anima come per i polpastrelli ce ne sono solo di un tipo per ogni individuo. Quando scopri che quella è la felicità, quello è il momento, quando senti che la persona accanto è quella giusta ti viene da ridere per la gioia, ridi anche per un nonnulla. Sei vicino e lontano, ti accorgi di esistere con tutti i sensi, le percezioni sono acute e si è più spugnosi, meglio più duttili! Si cambia espressione del viso, modo di camminare, si respira profondamente, si diventa sè stessi., Non è un cambiamento questo ma una conferma di quello che siamo sempre stati. come è accaduto che i tratti del viso siano induriti o sfuggenti, la voce bassa e monocorde il tono, come si comincia a camminare in modo rigido, guardando il marciapiede e non più il cielo. come si comincia a non desiderare di uscire di casa, a non volersi più guardare allo specchio, a non volersi più ascoltare. Come possono chiamare amore qualcosa che ti imprigiona giorno dopo giorno senza aver più via di scampo ne scelta. No, non può essere amore quello che si veste a festa e ti dice cosa devi fare e come vivere. No non è amore quello che chiede e nulla dona senza mostrarti il conto. No non posso confondere il cieco egoismo per quello che tutti anelano e raramente trovano lungo la loro strada. Se lo trovi almeno una volta dopo sai riconoscerlo, non possono mostrarti lucciole per lanterne, eppure la sua ricerca a volte ti fa vedere solo quello che c'è in superficie, come un iceberg. Il Titanic è affondato noi invece anneghiamo lentamente, inesorabilmente, aspirando a quel mondo ovattato che c'è sotto il pelo dell'acqua, per un attimo non vogliamo sentire più nulla, un attimo poi la vita ci riporta a galla, ci strappa a quel silenzio liberatorio e ci grida i suoi bisogni.......Ho sentito il ghigno soddisfatto di chi credeva di aver vinto senza pagare neppure il biglietto della lotteria, non ho fatto caso a quel suono ero troppo presa dalla musica dei miei sogni che apparentemente stavano diventando realtà. Un orecchio interno di scorta ecco cosa dovremmo avere, una sentinella che ci schiaffeggi quando cediamo alle più melense romanticherie, ho sentito il bisogno di far entrare un po' di luce un giorno nella mia casa e quello che ho visto mi ha ferito così profondamente da desiderare il fuoco per cicatrizzare tali lacerazioni, veloce e privo di pietà come solo la verità sa essere. Fuoco e verità: impietosi ma sinceri. Capisci subito con chi hai a che fare ed è rassicurante. Le menzogne invece quello non aiutano a stare meglio, non ti scaldano ne ti rafforzano, una risata quando si libera nell'aria ti può uccidere rivelandoti tutto della persona da cui proviene ma raccontare quello che sentivamo prima è penoso come una malattia cronica. Tutto è svelato e guardare negli occhi quello che vedi per la prima volta richiede coraggio e forza, non mi mancano questo è una buona fine ed uno splendido inizio! auguri di buon anno a tutti, anche a me!

martedì 21 dicembre 2010

Mistero



Il mistero - se, per la necessita' del discorso,

vogliamo ad ogni costo presentare una figura

a quel che per definizione ne manca -

può essere rappresentato come margine

una frangia che circonda di un alone

l' oggetto isolandolo nel momento stesso in cui ne

mette in rilievo la presenza, mascherandolo

nel momento stesso in cui lo qualifica,

inserendolo in un guazzabuglio di fatti

senza legame nè cause reperibili, nel momento

steso in cui il colore particolare di

cui lo tinge lo trae dal fondo aquitrinoso

ove si mescolano i fatti ordinari.

(M. Leires)



Anche con le parole puoi nascondere, ombreggiare, sfumare, per definire un sentimento e non volendolo denudare completamente puoi rivestire una frase, rendere un pensiero ricco di pudore senza celarne il reale significato. Con le parole puoi tutto ed il contrario di tutto, in questo sta il loro potere e la loro magia, un incanto rinnovato e superato solo dalla musica.



Ecco altre fotografie della mia amata montagna!

venerdì 26 novembre 2010

Un lampione


Oggi ho assistito alla commedia degli equivoci moltiplicata per tutte le persone che lavoravano e/o telefonavano. C'erano quelli che cercavano di farsi passare per i più intelligenti ed offendevano anche un'addetta delle pulizie pur di farsi notare ed illuminarsi così, sporcando di fango il lavoro altrui.
Poi ci sono i muli che vogliono far credere di essere cavalli di razza e parteciapre alle corse per vincere coppe, medaglie, menzioni di merito, faticando come matti per stare al passo dei veri cavalli. Sono felice di aver avuto come parte quella dell'osservatrice, quasi mi sono stancata per conto terzi tanto si sprecavano energie preziose per essere qualcosa che non apparteneva a nessun soggetto scalpitante. L'intelligente voleva comandare come un imperatore od un'imperatrice, il somaro cavalcare e sfilare con i paramenti sacri, la frustrata rendere impossibile il respiro altrui, l'ignorante salire in cattedra e parlare in sanscrito quando ancora non conosce a fondo la sua lingua madre. Al telefono tutti stavano per morire ed avevano bisogno di parlare urgentemente con un medico od un parente, chi aveva bisogno di chi senza costrutto ne forma.......
Stavo per gridare: " Fermi tutti un'ora di silenzio, non muovetevi e respirate lentamente, respirate in silenzio perchè la vita esige pace e calma." Nel caffè sembrava ci fosse l'arsenico, nel latte la cicuta, nel cibo il cianuro, e tutti esalavano fumi ed odori strani, l'odore della furia collettiva e dell'impazienza del vivere. Ma sanno ancora cosa significa vivere od hanno perso il sapore, il tatto, l'udito, dimenandosi come fossero al buio senza punti di riferimento da un'eternità per l'eternità!? Domenica dovremmo essere ricoperti di neve che rallenterà il moto ma spero pure la lingua e l'affannarsi comune di fronte ad un nonnulla quasi fosse un imperativo comune rompere le scatole anche allo spazio che si occupa oltre che al mondo intero che ci circonda! Non vorrei essere nelle persone che accoglieranno questa sera tanti invasati a cena, a letto, in case che temo si trasformeranno in appendici di campi di battaglia ricolmi di manichini disarticolati quali sono diventati gli esseri umani in questi ultimi giorni di novembre. Alla faccia dell'autunno che infonde calma e serenità, induce al sonno ed al riposo, alla malinconia ed all' introspezione, alla pace ed al raccoglimento interiore. Non ci vorrebbe solo una nevicata ma pure una nebbia fitta ed avvolgente per anestetizzare gli animi riscaldati da desideri e pretese che finiranno per dare ala polvere l'importanza dei diamanti, al fango la legittimità dell'acqua di fonte più pura e cristallina. La giornata sta per finire e dopo tanto tempo ringrazio il cielo di questo degno finale con il gelo alla porta che vuole entrare da ogni pertugio, con le luci avvolte da un'aurea di luminosità soffusa, con i lampioni che emettono sbuffi di vapore e donano all'atmosfera un che di irreale e di magico. Benvenuta sera, ti ho aspettato tanto!

domenica 21 novembre 2010

I fuochi di St. Elmo.


A lui piaceva il giorno, a lei la notte. Al primo le luci accese, i raggi del sole che entrano da una finestra, alla seconda le luci soffuse, la notte che avvolge ogni cosa. A lui erano care le fotografie a colori, le insegne pubblicitarie, a lei le fotografie in bianco e nero e la trama irregolare dei marciapiedi con le venature di pietra deformate dai passi della gente. Lui guardava sempre verso l'alto mentre lei rivolgeva lo sguardo verso i piedi e la terra che calpestava, lui amava osservare la vita di un personaggio pubblico per screditarlo, lei scoprire come il merito ottenesse dei riconoscimenti e poi gioirne. Lui adorava le raccomandazioni, lei il mutuo soccorso. Lui vedeva solo ciò che era macroscopico, lei adorava i dettagli microscopici. In una chiesa lui cercava subito di fotografare le dorature, i rosoni variopinti, il soffitto a volta decorato superbamente, lei una finestra aperta, le luci colorate che disegnavano sul pavimento strisce evanescenti, il ferro battuto di una cancellata. Lei desiderava una femmina, lui un maschio ma non osava confessarlo, lui cercava di comprare il tempo indossando un orologio diverso ogni giorno, lei non vedeva l'ora di togliersi l'orologio dal polso e misurava i giorni con il passare delle luci sulla meridiana della sua anima. Lui risparmiava per comprarsi giocattoli sempre più sofisticati, lei si guardava intorno e trovava mille doni da fare a chi amava. Lui conservava gli scontrini della spesa, lei i biglietti obliterati dei viaggi in treno, delle entrate nei musei o nelle sale cinematografiche, lui odiava spedire cartoline o biglietti d'auguri, lei passava ore a scieglierli ed a compilarli con cura. Lui voleva comprare tutto quello che desiderava, lei conquistare tutto quello che amava. Lui leggeva gli articoli di un giornale e li ritagliava per conservarli, lei li ritagliava e poi li leggeva per conservarli prima nel cervello e poi in una scatola. Lui mangiava per vivere, lei viveva per cucinare ed offrire il cibo come un dono. Lui voleva sempre cambiare, una casa, una macchina, una moto, un vestito, un orologio, sperava così di cambiare se stesso, lei adorava conservare tutto ed affrontare i cambiamenti dall'interno verso l'esterno con un ritmo più consono alla natura che la circondava. Lui declinava sempre il verbo "volere" mentre lei declinava i giorni ed il vivere sempre pronta a conoscere nuovi predicati verbali. Lui non conosceva la riconoscenza ne la profondità di un affetto pittosto li usava mascherandoli con l'educazione, lei amava e non si chiedeva quali conti bisognava saldare ogni qualvolta si ascolta o si pronuncia: "ti voglio bene"! Lui aveva gli occhi color nocciola venati di verde, lei verdi e lui non ne conosceva le sfumature perchè non guardava mei negli occhi neppure di coloro che sosteneva di amare. In un museo lui cercava di vedere più opere possibili, lei sceglieva in anticipo cosa vedere e si soffermava solo su determinati artisti. Lui correva, lei camminava. Lui non amava sedersi sulle panchine, lei ne aveva fatto un vero e proprio culto. Lui adorava la pizza, lei i risotti. Lui beveva ettolitri di cocacola, lei amava l'acqua ed il vino rosso. Lui avrebbe derubato anche un mendicante e vedendoli li disprezzava ad alta voce, lei ascoltava chi suonava per le strade e li gratificava non solo di una moneta ma anche con un sorriso. Lui violentava ogni giorno la vita da lui vissuta con l'indifferenza di chi ritiene che tutto gli sia dovuto, lei ringraziava ogni nuova ora affrontata in salute e con la consapevolezza che fosse degna di essere vissuta. Le loro strade come è ovvio si sono disgiunte nello stesso modo in cui un elastico teso fino allo spasimo schiocca finendo lontano dalle dita che lo tendevano come uno schiaffo. Come una coltellata di striscio bruciante od una saetta nel cielo di una calda serata estiva lui pretendeva di conoscere l'essenza della vita, vivisezionandola come il motore di una macchina da trasformare in un proiettile a quattro ruote. Lei semplicemente viveva! Lui faceva patire la sete e la fame pur di arrivare non si sa dove ne quando, lei portava sempre con se una bottiglietta d'acqua e del cibo nella borsetta. Lui odiava le pile di libri, lei le avrebbre trasformate in tavole o sedie per risparmiare tempo e cibarsi senza allontanarsi dal sapere del mondo. Ora lui ripara circuiti elettrici che non vogliono dare luce alla sua nuova casa e lei accende candele per illuminare le ombre che non vogliono lasciare la loro vecchia casa. L'inverno è lungo ma non eterno e ci si augura sempre che una finestra si apra per far entrare improvvisamente una corrente d'aria così potente da spegnere fuochi fatui ed echi lontani, di cui scordare ogni lamentoso suono. Il primo che mi accenna che nella diversità c'è il segreto della nostra specie sarei capace di stenderlo a terra senza neppure spiegargli il motivo di tanta improvvisa animosità!

giovedì 18 novembre 2010


Scrivo a te donna



Ogni mattina, dopo il segno della croce,
scriverti
è come recitare una preghiera.
Non si può far di peggio,
ma io so fare di meglio.
Ora che non ti vedo,
di buon mattino,
mentre tutti dormono,
prendo la penna, come un ladro prenderebbe
la chiave di un forziere,
e con la penna
rubo la vita che non mi appartiene
e scavo un camminamento
per raggiungere te che, contro ogni legge,
considero mia.

Salvatore Fiume



Libertà



Sui miei quaderni di scolaro

Sui miei banchi e sugli alberi

Sulla sabbia e sulla neve

Io scrivo il tuo nome



Su tutte le pagine lette

Su tutte le pagine bianche

Pietra sangue carta cenere

Io scrivo il tuo nome



Sulle dorate immagini

Sulle armi dei guerrieri

Sulla corona dei re

Io scrivo il tuo nome



Sulla giungla e sul deserto

Sui nidi sulle ginestre

Sull'eco della mia infanzia

Io scrivo il tuo nome



Sui prodigi della notte

Sul pane bianco dei giorni

Sulle stagioni promesse

Io scrivo il tuo nome



Su tutti i miei squarci d'azzurro

Sullo stagno sole disfatto

Sul lago luna viva

Io scrivo il tuo nome



Sui campi sull'orizzonte

Sulle ali degli uccelli

Sul mulino delle ombre

Io scrivo il tuo nome



Su ogni soffio d'aurora

Sul mare sulle barche

Sulla montagna demente

Io scrivo il tuo nome



Sulla schiuma delle nuvole

Sui sudori dell'uragano

Sulla pioggia fitta e smorta

Io scrivo il tuo nome





Sulle forme scintillanti

Sulle campane dei colori

Sulla verità fisica

Io scrivo il tuo nome



Sui sentieri ridestati

Sulle strade aperte

Sulle piazze dilaganti

Io scrivo il tuo nome



Sul lume che s'accende

Sul lume che si spegne

Sulle mie case raccolte

Io scrivo il tuo nome



Sul frutto spaccato in due

Dello specchio e della mia stanza

Sul mio letto conchiglia vuota

Io scrivo il tuo nome



Sul mio cane goloso e tenero

Sulle sue orecchie ritte

Sulla sua zampa maldestra

Io scrivo il tuo nome



Sul trampolino della mia porta

Sugli oggetti di famiglia

Sull'onda del fuoco benedetto

Io scrivo il tuo nome



Su ogni carne consentita

Sulla fronte dei miei amici

Su ogni mano che si tende

Io scrivo il tuo nome



Sui vetri degli stupori

Sulle labbra intente

Al di sopra del silenzio

Io scrivo il tuo nome



Su ogni mio infranto rifugio

Su ogni mio crollato faro

Sui muri della mia noia

Io scrivo il tuo nome





Sull'assenza che non desidera

Sulla nuda solitudine

Sui sentieri della morte

Io scrivo il tuo nome



Sul rinnovato vigore

Sullo scomparso pericolo

Sulla speranza senza ricordo

Io scrivo il tuo nome



E per la forza di una parola

Io ricomincio la mia vita

Sono nato per conoscerti

Per nominarti

Libertà.

PAUL ELUARD

Orme



Una notte un uomo fece un sogno.

Sognò di passeggiare lungo la spiaggia con il Signore.

In cielo balenavano scene della sua vita.

Per ciascuna scena notò due serie di orme sulla sabbia:

una apparteneva a lui e l'altra al Signore.

Quando gli fu balenata davanti agli occhi l'ultima scena,

si voltò a guardare le orme

e notò che molte volte lungo il cammino vi era una sola serie di impronte.

Notò anche che questo avveniva durante i periodi più sfavorevoli

e più tristi della sua vita.

Ne rimase disorientato e interrogò il Signore.

"Signore, tu hai detto che se io avessi deciso di seguirti,

tu avresti camminato tutta la strada accanto a me,

ma io ho notato che durante i periodi più difficili della mia vita

vi era una sola serie di orme.

Non capisco perché,

quando avevo più bisogno di te,

mi hai abbandonato."
Il Signore rispose:

"Mio amato figlio, io ti voglio bene e non ti abbandonerei mai.

Durante i tuoi periodi di dolore e sofferenza,

quando vedi solo una serie di orme,

quelli sono i periodi in cui io ti ho portato in braccio."


Anonima







DONNA


Nel tuo esserci l'incanto dell'essere,

La vita, tua storia,

segnata dal desiderio d'essere

semplicemente donna!

Nel tuo corpo ti porti,

come nessun altro,

il segreto della vita!

Nella tua storia

la macchia dell'indifferenza,

della discriminazione, dell'oppressione…

in te l'amore più bello,

la bellezza più trasparente,

l'affetto più puro

che mi fa uomo!

Eliomar Ribeiro de Souza
(poeta brasiliano)


Desiderata

Va' serenamente in mezzo al rumore e alla fretta
e ricorda quanta pace ci puo' essere nel silenzio.

Finche' e' possibile senza doverti arrendere conserva
i buoni rapporti con tutti.

Di' la tua verita' con calma e chiarezza, e ascolta gli altri,
anche il noioso e l'ignorante, anch'essi hanno una loro storia da raccontare.
Evita le persone prepotenti e aggressive, esse sono un tormento per lo spirito.

Se ti paragoni agli altri, puoi diventare vanitoso e aspro,
perche' sempre ci saranno persone superiori ed inferiori a te.

Rallegrati dei tuoi risultati come dei tuoi progetti.
Mantieniti interessato alla tua professione, benche' umile;
e' un vero tesoro rispetto alle vicende mutevoli del tempo.

Sii prudente nei tuoi affari, poiche' il mondo e' pieno di inganno.
Ma questo non ti impedisca di vedere quanto c'e' di buono;
molte persone lottano per alti ideali, e dappertutto la vita e' piena di eroismo.


Sii te stesso. Specialmente non fingere di amare.
E non essere cinico riguardo all'amore,
perche' a dispetto di ogni aridita' e disillusione esso e' perenne come l'erba.


Accetta di buon grado l'insegnamento degli anni,
abbandonando riconoscente le cose della giovinezza.


Coltiva la forza d'animo per difenderti dall'improvvisa sfortuna.
Ma non angosciarti con fantasie.


Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine.
Al di la' di ogni salutare disciplina, sii delicato con te stesso.


Tu sei un figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle;
tu hai un preciso diritto ad essere qui.
E che ti sia chiaro o no, senza dubbio l'universo va schiudendosi come dovrebbe.


Percio' sta in pace con Dio, comunque tu Lo concepisca,
e qualunque siano i tuoi travagli e le tue aspirazioni,
nella rumorosa confusione della vita conserva la tua pace con la tua anima.

Nonostante tutta la sua falsita', il duro lavoro e i sogni infranti,
questo e' ancora un mondo meraviglioso. Sii prudente.

Fa di tutto per essere felice.


Questo testo bellissimo viene quasi sempre presentato come "Manoscritto del 1692 trovato a Baltimora nell'antica chiesa di San Paolo".

Invece nel 1959 il reverendo Frederick Kates rettore della chiesa di St. Paul, a Baltimore, Maryland, incluse questo pensiero in una raccolta di materiale devozionale.

In cima alla raccolta, c'era l'annotazione "Old St. Paul's Church, Baltimore, A.C. 1692", che è l'anno di fondazione della chiesa... da qui l'equivoco.

In realtà, l'autore di questi versi è Max Ehrmann, un poeta di Terre Haute, Indiana, vissuto dal 1872 al 1945, e scrisse Desiderata intorno al 1927.





"Le cose che ho imparato nella vita"

di Paulo Coelho

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:

-Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà.
E per questo, bisognerà che tu la perdoni.
-Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per
distruggerla.
-Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
-Che le circostanze e l'ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo
responsabili di noi stessi.
-Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti,o essi controlleranno te.
-Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era
necessario fare, affrontandone le conseguenze.
-Che la pazienza richiede molta pratica.
-Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come
dimostrarlo.
-Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando
cadrai,è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
-Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che
non ti ami con tutto se stesso.
-Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono
sciocchezze:sarebbe una tragedia se lo credesse.
-Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior
parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
-Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non
si ferma, aspettando che tu lo ripari.
-Forse Dio vuole che incontriamo un po' di gente sbagliata prima di
incontrare quella giusta, così quando finalmente la incontriamo, sapremo
come essere riconoscenti per quel regalo.
-Quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma tante
volte guardiamo così a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che è
stata aperta per noi.
-La miglior specie d'amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un
portico e camminarci insieme, senza dire una parola, e quando vai via senti
che è come se fosse stata la miglior conversazione mai avuta.
-È vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche
vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
-Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un'ora per piacergli, e un
giorno per amarlo, ma ci vuole una vita per dimenticarlo.
-Non cercare le apparenze, possono ingannare.
-Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.

-Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perché ci vuole solo un sorriso
per far sembrare brillante una giornataccia.
-Trova quello che fa sorridere il tuo cuore.
-Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che
vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
-Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai
solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.
-Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a
sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano,
speranza sufficiente a renderti felice.
-Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente
anche loro si sentono così.
-Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni
cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
-L'amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un the.
-Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene
nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e tuoi
dolori.
-Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano.
Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l'unico che sorride
e ognuno intorno a te piange.





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mercoledì 17 novembre 2010

Possibilità




Delle porte aperte, una finestra aperta, una salita che riconduce verso un ponte............nulla di più.

martedì 16 novembre 2010

Turista dell'oscuro






Ho scoperto di essere una turista dell'oscuro definizione data a coloro che gradiscono visitare cimiteri non per studi di anatomia illegali come avveniva nei secoli passati ma, per osservare come gli uomini hanno interpretato nel corso del tempo uno dei passaggi obbligati per tutti gli esseri umani: la morte. Parola che racchiude in sè accezioni tragico-romantiche, biologiche-scientifiche, poetiche-letterarie, pittorico-fotografiche, cinematografiche-letterarie, filosofico-religiose.....non c'è branca del sapere umano che non si sia occupato di questo aspetto della nostra vita. Gli unici che paiono voler negare la sua esistenza sono certi medici o pseudo-tali che con l'accanimento terapeutico inducono a pensare che siano terrorizzati da questo evento. Impauriti a tal punto da voler tenere in vita dei cadaveri per non cedere alla morte il primato sulla loro scienza che della salute dovrebbe occuparsi e non della conservazione di un corpo privo di vita grazie a macchinari e farmaci. Non amo neppure quelli che applicherebbero l'eutanasia ad ogni caso disperato ma sicuramente la scelta di vivere in modo dignitoso spetta all'individuo che questa vita l'ha vissuta e non certo per conto terzi. E' come sentirsi degli emeriti cretini per procura il massimo della beffa, idem vivere perchè qualcuno non accetta che il tuo corpo sia arrivato alla fine del percorso e dica di una ragazza in coma da 17 anni che può ancora procreare, il massimo della follia e dell'offesa per chi ha assistito a quell'agonia giorno dopo giorno e per chi l'ha vissuta incapace di poter gridare: " Ma cosa state facendo, cosa state dicendo!" - Si sfrutta quel silenzio per parlare in sua vece e pontificare in modo altrettando violento. Sì la violenza della paura di fronte ad un evento per certi versi doloroso, disarticolato come certi manichini, improvviso e stupefacente nella dinamica, oppure lento e tortuoso, mai uguale come le impronte digitali, a volte spontaneo come il sorriso dei bambini, innocente come la morte nel proprio letto durante il sonno, rapace come la morte per malattia di un giovane essere che dovrebbe avere la possibilità di vivere più a lungo, di assaggiare i giorni come un buon bicchiere di vino, lentamente. C'è perfino chi definisce la morte dolce ma quando lo fa non si rende conto di quanti si sentano offesi da tale definizione. I parenti di chi muore in un incidente, di chi muore in un campo di concentramento, di chi viene colpito da un proiettile vagante o da un pirata della strada ubriaco, i parenti di un bambino di pochi mesi che non ha conosciuto se non interventi o sondini o il dolore di aghi e farmaci, di medicazioni ed esami esplorativi, di mascherine dell'ossigeno simili a mani pronte a soffocarlo e non a farlo respirare. Bambini che ricevono carezze attraverso guanti, che non vedono il sorriso o la disperazione di chi li ama perchè una mascherina protegge l'ambiente dai microrganismi killer per quelle giovani vite tanto tormentate. La morte è come la viviamo, unica e ricolma di aggettivi, di rappresentazioni grafiche e musicali. Ascoltate il Requiem di Mozart e scoprirete le più alte vette della genialità e della sensibilità musicale di ogni tempo al pari con le Quattro stagioni di Vivaldi, suo alter ego proprio per la vita che descrive in contrapposizione alla tanto vituperata morte. Ognuno a seconda dei propri gusti ama darne un'interpretazione gotica o romantica, scabra e minimalista, poetica e floreale, oppure semplicemente non ama parlarne ne leggere nulla sull'argomento. Io adoro visitare i cimiteri monumentali oppure quelli più poveri e semplici di montagna. Ho visitato quello di Parigi, al Père Lachaise e ne sono rimasta affascinata oltre ogni aspettativa. Mi riprometto di visitare quello di Staglieno a Genova, un museo a cielo aperto, poi quello di Londra di Highgate che sembra disegnato da Tim Burton autore di film surreali e poetici come Edward Mani di Forbice o Wonderland, rivisitazione di Alice nel paese delle Meraviglie. Il cimitero ebraico di Praga poi deve essere incredibile con i suoi strati sovrapposti di lapidi che formano un paesaggio unico al mondo. I turisti dell'oscuro non hanno il gusto dell'orrido, anzi, sono i più fedeli sostenitori della vita che scorre nelle loro vene ma, proprio per questo sanno che la morte fa parte della vita e non va ne bandita ne insultata, soprattutto con i fatti e con le parole. Ho avuto in casa persone che si sono fatte riempire di chemioterapia per vivere ancora due anni con i propri cari, che avrebbero scalato l'Everest per avere un giorno in più da trascorrere su questo pianeta. Ho visto fare altrettanto da malati di A.I.D.S. e da persone anziane che strisciavano per poter ancora camminare lungo i sentieri delle loro vite ormai sfinite biologicamente e strenuamente attaccate a quelle ultime forze che restavano loro. Ho visto occhi supplicare di essere lasciati in pace a morire nel proprio letto, altri supplicare di avere una dose in più di morfina per sentire meno dolore. Fortunatamente non ho mai lavorato con medici che si sentivano Dio e si arrogavano il diritto di usare la carne altrui per combattere la loro personale battaglia contro la mortalità umana, nessuno che sentiva così vicina all'immortalità la propria visione del mondo e della scienza da tentare di tenere in vita un cadavere, pietosi nel non illudere i parenti e delicati nel fornire un quadro realistico ed umanamente accettabile di ciò che stava accadendo ai loro pazienti. Nessuno o quasi ha esacerbato il dolore di chi stava per andarsene e di chi restava. Ho in mente il dolore di un padre, alto un metro e novanta circa che una notte davanti al letto della propria figlia trentenne, parlava con lei in coma da settimane, chiedendo perdono per non essere stato presente come avrebbe dovuto o desiderato. Quel gigante era spezzato nel cuore e nell'anima e sembrava essere sul punto di rompersi in due appoggiato a quel letto. Ho preparato un caffè e l'ho supplicato di berlo, ho pregato che non morisse anche lui dal dolore. L'ho visto allontanarsi, solo, perchè la moglie, separati da anni, si rifiutava di condividere quel momento con lui quasi a volerlo punire imputandogli un' assenza come fosse la causa della malattia mortale della figlia. Neppure di fronte alla morte si perdona e l'orgoglio può uccidere due volte un uomo o una donna. Sono rimasta commossa dal gesto sfinito di un avanzo di galera che tentava di aiutarmi ad infilarsi un camice, ormai privo di energia e vicino alla fine dei suoi giorni. Con uno sforzo sovrumano ha alzato le braccia dopo che io ed una mia collega ci eravamo lamentate del suo peso da sollevare per cambiarlo e rivestirlo dignitosamente, sudato e prossimo al disfacimento. Quel gesto mi ha fatto sentire un verme, avrei tanto voluto chiedergli scusa e l'ho fatto accarezzandogli la fronte e riponendo le sue braccia sotto le lenzuola con delicatezza ed amore. E' morto da "solo" ma io c'ero e la sua solitudine ho tentato di spezzarla con la mia presenza, usando delle spugne imbevute d'acqua fresca per farlo sentire meno bollente; la febbre lo stava divorando ed i farmaci non servivano più a nulla, il ghiaccio si fondeva sulla sua fronte ed il sudore procuratogli dai farmaci lo annegava il quel letto, sembrava un pulcino bagnato. La dignità fino alla fine lo ha abitato, lui considerato dalla società un peso, un parente di cui vergognarsi, qualcuno da seppellire, prima di essere deceduto, dall'indifferenza. In quei momenti mi sono sentita utile ed ho compreso il motivo per cui sono diventata infermiera. Mi ribellavo all'idea non della malattia, della morte, della sofferenza, no, ero furiosa all'idea che qualcuno potesse morire spaventato e sporco, affondato nelle sue deiezioni e privo di una mano amica che lo facesse sentire meno solo. Non sono necessarie le parole in quei momenti, ci si parla con gli occhi o con una stretta di mano, una carezza ....I cimiteri non sono altro che la nostra ultima casa ecco perchè ne sono affascinata. Gli Etruschi del resto hanno creato le necropoli più umanamente artistiche e realistiche della storia dell'uomo. Ci sono certe sculture che ti fanno venire i brividi. Marito e moglie adagiati l'uno vicino all'altra come in vita, scene di vita quotidiana che descrivono quali erano le attività preferite dai defunti con una dolcezza da lasciarti senza fiato. Ed i giocattoli trovati vicino ai bambini....altre civiltà hanno tentato di riprodurre il loro senso di inadeguatezza con costruzioni faraoniche appunto, ma gli Etruschi hanno colto nel segno comunicando a chi li ha studiati e riscoperti un senso terreno e placido della fine dei nostri giorni, in tema con il pianeta in cui hanno vissuto, con le stagioni, i cicli naturali, i mestieri, gli affetti coltivati in vita che loro desideravono proseguire anche dopo in un altro tempo e luogo. Ecco alcune fotografie scattate a Parigi, le più colorate e ricche d'amore verso coloro che venivano ricordati con gioia e dolcezza, non solo con dolore e nostalgia. Osservate i colori ed i simboli stampati su quei quadrati che coprono un'ossario, che fanno da cornice ad uno spazio in cui vengono conservate le ceneri, i frammenti di una vita intera. Guardate l'assenza di commenti, la riproduzione di oggetti e simboli che definivano la persona amata e capirete perchè io sono orgogliosa di essere una turista dell'oscuro. In quell'oscurità c'e più luce e colore che in tanti occhi e parole.

domenica 14 novembre 2010

Fotografia, de-scrivere un' immagine


Questa fotografia non avrebbe bisogno di commenti, perchè ho la certezza che sopravviverà anche all'usura del tempo, all'evanescente memoria che aggiunge fiori di plastica per non dover affaticarsi annaffiando e curando un piccolo vaso od un pugno di terra. Queste due mani sono quelle di Tristano ed Isotta, di Abelardo ed Eloisa, di Francesco e Laura, di Robert ed Elisabeth, di chiunque famoso, o meglio ancora sconosciuto, ha creduto di dover chiedere di non dividere quello che era unito in modo naturale, perfino dopo la sua scomparsa. Dopo l'arrivo del silenzio che la vicinanza fra le dita sancisce con tenerezza, un soffio di vento e tutto ricomincia a muoversi, tutto ha di nuovo un senso. Bisogna amare solo ciò che ci fa bene......questo dicono le due mani poste su due piccoli quadrati che coprono un'urna cineraria o un ossario. Parlano quelle mani di un'indolente impotenza di fronte alla fine che altro non può essere che un nuovo inizio. In questo caso sono sicura che lo è stato! Ho fatto fatica a fotografare questa idea dell'amore e della morte! Leopardi scriveva:" Due cose ha belle il mondo, amore e morte". L'importante è che non si alleino troppo spesso per deridere i nostri affanni, le nostre azioni inconsulte, il nostro bisogno di medicare con parole e non con garze quello che neppure un balsamo miracoloso riuscirebbe a lenire. Una risata forse aiuta ma, una simile visione dona una pace ed una consapevolezza che vorrei far mie, perchè è meraviglioso che qualcuno sappia di cosa sto parlando o meglio l'abbia saputo!

venerdì 12 novembre 2010

Vita brevis....


Un dolore sordo questa sera ha invaso il mio petto, per un attimo ho pensato di andare in taxi al P.S. Poi ho capito che non era nulla di grave men che meno un attacco anginoso e ho compreso la complessità della psiche umana che scarica su vari organi bersaglio il peso della sua vitalità. Se questa notte si ripetesse o domani mattina mi svegliassi con quelle fitte di nuovo accampate in sede sternale beh forse ci ripenserò ma, ora dopo più di 2 settimane trascorse a dormire pochissimo e male il senso di quelle fitte e di quel peso sta tutto nell'assenza di un buon sonno ristoratore, nulla di più. Per fortuna non sono ipocondriaca e spero di non appartenere alla categoria dei superficiali che minimizzano qualsiasi segnale proveniente dal proprio corpo. Lo scoprirò presto del resto. Bello a volte intuire i propri limiti e scoprire che non è così importante sapere il come o il quando ma solo il perchè. Una vena od un'arteria che esplodono, uno spigolo vicino alla tempia mentre si scivola, perchè accade che una data malattia colpisca proprio quella persona o quel bambino. Da infermiera ho smesso di farmi queste domande o non riuscirei a lavorare ma ogni tanto sbucano fuori da una fessura queste stupide curiosità e soprattutto quando il petto ti sembra esplodere e non sai cosa c'è dentro che si agita in quel modo. Buffo salvare gli altri e non tenerci minimamente per se stessi, attendere fatalmente il proprio momento e quando si presenta non agitarsi, ne impaurirsi. Non è sprezzo per il pericolo ne incoscienza è solo curiosità. A furia di vedere quello che accade agli altri se sospetti che stia accadendo a te ti vuoi guardare come dall'esterno ed osservare scientificamente o come un giornalista mentre crea un reportage, un commentatore sportivo un incontro di tennis, il fatto più antico come il mondo che nessuno vuole più pronunciare per scaramanzia o per finto disprezzo. Che sarà mai questo viaggio faticoso o liscio come l'olio che dobbiamo affrontare tutti indistintamente, perchè si pensa che uscire da un utero ed imparare a respirare in pochi secondi sia più facile che smetterlo di farlo in meno di niente o in più tempo? Morte sarai tu a morire diceva J. Donne e quanto aveva ragione lui che adorava Dio nello stesso modo in cui amava la vita e la sua compagna. Prometto di non sottovalutare i segnali provenienti dal mio corpo però non voglio rompere le scatole a dei poveri infermieri e medici che hanno di meglio o di peggio cui pensare, durante il fine settiomana. Un brindisi alla vita ed alla morte sorelle gemelle per la scienza e non solo!

giovedì 11 novembre 2010

La scatola della memoria


Due amici Alessandro e Maddalena mi hanno dato l'idea di scrivere questo post: cosa metterei in una scatola dei ricordi se volessi lasciarli in eredità o portarmeli dietro in un ipotetico viaggio lontano da casa anni luce. Cambiare continente, luogo di lavoro o di vita, partire lontano e poter portare con se pochissime cose. Scegliere cosa salvare da un incendio o da una alluvione, dover operare una cernita forzata perchè tutto non si può salvare ne trasportare se cambi vita o nazionalità, o se vuoi vivere. Non è facile fare scelte così drastiche, alcuni sono morti durante un incendio per salvare più che una vita, una fotografia od un oggetto. Io possiedo una cappelliera di cuoio di mia nonna materna dove ho riunito gli oggetti più cari, lettere, guanti, foulard, pietre, una calamita, un orologio, fotografie, perfino una fionda fatta con un pezzo di legno e degli elastici, delle biglie ed un numero mezzo stracciato di Topolino, un quaderno con delle cartoline e perfino una bottiglia contenente ancora un liquido pieno di lustrini e la sagoma del Ponte Vecchio di Firenze che ci galleggia dentro. Ma ci sono oggetti che non entrano in quella scatola ormai ricolma e che parlano di me più di qualsiasi altro. Un peluche senza orecchie che tengo in un cassetto per esempio, un vestito che indossavo quando mi è successo qualcosa di particolare da ricordare per sempre fine alla fine dei giorni. Le fotografie sono ormai le dittatrici dei ricordi. Regolano il traffico del tempo che passa. Ma ho in mente una pochette di mia madre che portava sempre con gli abiti da sera a Capodanno od alle serate danzanti rigorosamente in lungo. Un paio di scarpe che la slanciavano lei così complessata di essere bassa di statura accanto ad un uomo alto 180 cm. Io da bambina provavo a camminarci ma risoluta mi ripromettevo di non comprarne mai neppure un paio tanto erano scomode. Ne ho comprate invece ma le indosso raramente. Sembro un ippopotamo che indossa le scarpette da ballo come nel film "Fantasia" di Walt Disney. Anche da magra ero goffa e ridicola quindi è meglio non portarsele dietro certe scarpe, finirebbero per essere un soprammobile vintage tipo pop art. Ci sono anche due palline decorative dell'albero di Natale, comprate alla Rinascente nei primi anni '70, talmente belle e delicate da essere tenute al sicuro in una vetrinetta. Sciocco non godersele sull'albero ma se si rompessero......questo nostro attaccamento ai ricordi a volte ha del patologico. Certi oggetti diventano più importanti delle persone stesse che li hanno indossati o vissuti e questo non fa bene alla loro memoria. Io ricordo una sera d'estate 6 mesi prima che morisse mia madre, fuori città, presso una trattoria. Rientrando a casa abbiamo percorso 2 chilometri a piedi perchè era una sera dolce e la strada era affiancata da un bosco e da rare case di montagna. Ad un certo punto abbiamo visto nel sottobosco mille luci e non più abituate a vedere le lucciole inizialmente ci siamo spaventate. Quando abbiamo realizzato che non era uno scherzo e ci siamo rese conto di quello che stavamo vedendo abbiamo perso la parola, ci siamo prese per mano e siamo rimaste ferme ad ammirare quello spettacolo. Mio padre ci aspettava con la macchina 2 km circa più avanti e non vedendoci arrivare si era preoccupato ma fortuna per noi non è tornato indietro a prenderci. Ci siamo beate di quel paesaggio da favola, non avevamo ne cineprese ne macchine fotografiche tranne i nostri sensi. La vista sopra tutti. Quando è morta il gennaio successivo ho pensato che fosse stato il saluto della terra ad una persona buona che la lasciava e quella sera d'estate così speciale che avevamo vissuto io e lei insieme era il suo commiato alla vita. Avevo pochi ricordi condivisi solo con lei e quel dono inaspettato vale tutte le cappelliere di questo mondo, vale tutte le fotografie, gli abiti, le lettere ricevute, perfino la calamita del mio bisnonno. Mi rendo conto che è il tempo trascorso insieme, le emozioni condivise, una risata comune, una passeggiata ricca di imprevisti e scoperte che avvicinano due anime anche quando i corpi sono separati anzi tempo valgono tutti gli oggetti del mondo. Ho messo all'anulare di mio nonno materno una veretta d'argento perchè la sua l'aveva donata alla patria per motivi che non condividevo. Dopo tre mesi dal suo funerale ho cominciato a cercarla in camera, nei cassetti come una forsennata. Quando mia madre in quell'occasione mi ha ricordato il dono che avevo fatto per poco non sono esplosa in un pianto a dirotto. Se dopo tre mesi mi ero scordata di quel gesto dopo un anno non avrei più ricordato neppure il suo volto, la sua voce, ero disperata! Mi sono calmata solo quando mia madre sorridendomi e per nulla preoccupata mi ha risposto: " Tu il nonno Camillo non lo dimenticherai mai neppure se fossi colpita da un ictus o da una trombosi ne perderesti del tutto la memoria" Il paradosso mi consolò e soprattutto compresi che non esiste oggetto che ti possa restituire quello che i sentimenti fissano a fuoco nella tua memoria, anche le esperienze più belle le conservi dentro di te ed un oggetto al massimo apre lo scrigno della tua mente e del tuo cuore proiettandoti in tempi e luoghi che ormai sembravano oscurati o perduti per sempre. Prima di andare a dormire mio nonno trascorreva molto tempo con me mentre studiavo. Lui scriveva e leggeva per conto suo ed io pure eppure eravamo così vicini e ci sentivamo così bene che alla fine quando lui si alzava per prepararsi al sonno si avvicinava a me e mi accarezzava la testa o la spalla salutandomi in silenzio. Ecco di lui mi mancano quei tocchi lievi sulla spalla e sul capo, quella certezza che esistendo insieme eravamo una forza unica della natura umana, tanto ci conoscevamo e ci intendevamo, io bambina e poi ragazza e lui un vecchio uomo che aveva mostrato interesse e pazienza infinita per chi si stava affacciando alla vita. Ben vengano le scatole della memoria ma la migliore resta sempre il mio cervello, la mia anima cui bastano un suono, una canzone, un profumo, un gesto, un colore per risuscitare momenti di vita vissuta che mai potranno lasciarci. Così continuano a vivere insieme a noi le persone che abbiamo amato, anche una parte di noi stessi e seppur privi di corpo possiedono la forza di quella vita che hanno condiviso per un breve o lungo tratto. Noi stessi cambiamo e ritrovandoci restiamo sorpresi di come eravamo, di quello che pensavamo, di quello che abbiamo fatto o scelto di fare. Mai concedere ai rimpianti il diritto di parola ne permettere ai rimorsi di rovinare un bel ricordo, mai dare alle scatole il potere di contenere e conservare quello che non è più percepibile con i sensi ma lo è immensamente con lo spirito. Mai relegare in un angolo, nell'oscurità od in un cantuccio le emozioni e salvare ciò che le rappresentano come fossero esse stesse i sentimenti e non solamente il logo "pubblicitario". Io mangio i biscotti non la casa che li produce mi vien da pensare visto che li ho davanti agli occhi e mia figlia mi sta tentando. Buona cena a tutti e megglio soprassedere quando lo stomaco comincia a brontolare, soprattutto quello di una bambina. Il dovere mi chiama!

Quello che pensa una donna e riesce a scrivere senza urlare.....


HO SMESSO DI SORRIDERE
LE LABBRA SONO GELATE,
AD UNA SOLA SPERANZA
SEGUE PIU' DI UNA CANZONE.
SENZA COLPA CEDERO' IL CANTO
AL RISO E ALLA PROFANAZIONE,
CHE' AL COLMO DEL DOLORE
PER L'ANIMA E' IL SILENZIO D'AMORE. A. ACHMATOVA

Ah tu pensavi che anch'io fossi una che si possa dimenticare
e che si butti, pensando e piangendo, sotto gli zoccoli di un baio.
O prenda a chiedere alle maghe radichette nell'acqua incantata
e ti invii il regalo terribile di un fazzoletto odoroso e fatale.
Sii maledetto. Non sfiorerò con gemiti o sguardi l'anima dannata,
ma ti giuro sul paradiso, sull'icona miracolosa
e sull'ebbrezza delle nostre notte ardenti:
mai più tornerò da te. A. Achmatova


La seconda poesia per me troppo infuocata è peraltro comprensibile per il senso ed il dolore che hanno trovato una traduzione in quelle parole: dal cervello, dalla pancia, dall'anima sono uscite come un fiume in piena.

Sempre lei ha scritto:

Lascio la casa bianca e il muto giardino.
Deserta e luminosa mi sarà la vita.

In queste ultime due righe già mi riconosco di più e,con entusiasmo assorbo simili immagini.
A presto con Anna Achmatova.

martedì 9 novembre 2010

Respirare come un angelo


Rinfrescarsi al vento che soffia dalla propria terra, lasciare un po' di tregua all'anima ferita. Ci sono donne che ovunque la loro vita volesse sgorgare c'era sempre qualcuno a gettare sale sulla terra affinchè nulla potesse crescere. Si sentivano torturare da tutti i divieti opposti ai loro desideri naturali. Se amavano la natura venivano rinchiuse in poche stanze. Se erano scienziate si diceva loro di fare la madre. Se volevano inventare si diceva loro di essere pratiche. Se volevano creare si diceva loro che i lavori di casa non finiscono mai. Qualche volta cercarono di fare le brave secondo i modelli più diffusi e soltanto in seguito compresero quello che veramente volevano, in che modo avevano bisogno di vivere. Allora per avere una vita hanno sperimentato le dolorose amputazioni dell'abbandono della famiglia, della rottura del matrimonio che sotto giuramento avevano accettato "finchè morte non ci separi". Hanno accettato il lavoro che doveva essere il trampolino per qualcosa di più invalidante ma meglio retribuito. Hanno lasciato sogni sparsi lungo tutta la strada. In certe famiglie ci si muove lenti nel tempo mentre voi andate come il vento; loro parlano a voce alta e voi a bassa voce, oppure loro se ne stanno muti e voi cantate. Voi sapete semplicemente perchè sapete, loro vogliono le prove e una dissertazione di trecento pagine. C'è chi vuole l'amore e chi solo la pace, ci sono ignoranze ben coltivate, coerenze incastonate come pietre preziose in un anello. Ovvero c'è chi desidera che io sia oggi esattamente come ero ieri, che io non cambi affatto con il passare dei giorni ma resti come all'inizio dei Tempi della mia vita e conoscenza. La coerenza nei modi cosa significa? Forse non adattarsi al cambiamento, non rinnovarsi. Rispondere deriva dal latino respondere, che significa farsi garante, promettere....cioè vivere con pienezza, rispondenza, la propria essenza, la vita che attraversiamo come un fiume in piena. Mia figlia ha un'anima colma di salute, brilla attraverso la sua persona, divampa come un fuoco allegro. Vicino a noi c'è un'anima spenta, pallida e comporre un canto che la faccia tornare indietro è impossibile perchè è diventata sorda a tutto tranne che ai propri desideri impellenti come fossero i bisogni primari di un neonato. Non voglio fare della sopravvivenza il centrotavola del'esistenza ne inseguire anime pallide e spente, mi perderei anch'io nella ricerca, rischio di basare la mia identità sulle gesta e le perdite, sulle vittorie dei brutti momenti. La mia anima si merita di meglio, bisogna creare un altare ed erigerlo in memoria delle passate avversità, comprendere il lutto, commemorarlo e così rifiorire. Questa sarà un'altra lunga notte lo sento. Respiro profondamente, ho messo a letto mia figlia, ci siamo cantate la solita filastrocca che accompagna la fine della giornata: " Di giorno e di notte, col sole e con la pioggia, col vento e la bonaccia, contenta od arrabbiata, io ti voglio tanto,tanto, tantissimo infinito bene! ". Respirare è una funzione fondamentale per l'esistenza ed ora assume il significato di un augurio gentile che presuppone la rinascita e la percezione del respiro della mia nuova vita. Perchè solo di notte riusciamo con il buio a chiarirci le idee? Vorrei far mio anche il potere del sole, il suo calore, la sua luce ma questa è un'altra storia ed ora sono troppo stanca per mettere in relazione la parte più oscura del mio essere con quella più luminosa. Aspetto un nuovo giorno e di specchiarmi negli occhi di chi amo e mi ama, colei che porta il nome di un angelo.

sabato 6 novembre 2010

I bari metafora dell'ingiustizia e del tradimento.


Una mano mette o prende delle carte da una tasca, appena sotto la cinta, quindi sul ventre.Ma la mano è disegnata male perchè manca il pollice e poi il mignolo è più grande dell'indice. Deve essere un pittore approssimativo. Risalendo lungo il braccio scopriamo una nuca dove dovrebbe essere il viso ma allora torniamo alla mano e, scopriamo che è al contrario. Il pollice è sotto, nascosto, allora la tasca non sta sul ventre ma sulla schiena. La torsione del braccio ci dice che il gesto avviene di nascosto. Cerco l'altra mano, poggia sul tavolo con altre carte in mano.
Un gioco di carte anche se sul tavolo c'è un back gammon. In fatti vedo altre due mani con le carte, l'altro giocatore, ma sul tavolo poggia una quinta mano, guantata. Troppe carte, troppe mani ed un coltello alla cintola. Qualcosa non va su questo tavolo. Il viso di uno dei giocatori è teso, l'altro placido, angelico. Merletti ai polsi e al colletto, una veste ricca. Sono due adolescenti ed uno gioca un gioco più grande di lui. Voglio scoprire il padrone della mano guantata. Lo immaginavo, il complice che truffa il povero angelo con le carte dicendo all'altro cosa ha in mano. E' un uomo che vive di espedienti, ha i guanti rotti ed è l'ideatore della truffa: più adulto ha probabilmente addestrato l'altro baro. E' lui il cattivo genio, quello che sta derubando l'innocente.
Ma io non voglio che l'angelo perda ingiustamente. Lo avverto, guardati alle spalle, attento! Non mi sente, alzale quelle carte!
Sono ridicolo: sto parlando ad un quadro che mi sta raccontando un piccolo dramma.
LA VITTORIA DEL DISONESTO SU CHI CREDE ALL'ONESTA'. Parlo a quei due volti che questo pittore magistrale, altro che approssimativo, ha messo vicinissimi. Perchè li conosco, sono un pezzo della mia vita. Quando ho creduto nella buona fede e sono stato sconfitto da chi giocava con carte truccate. Quando ho perso l'innocenza ad opera di un uomo che si presentava come amico. Come quello lì, quello che aggrotta la fronte e recluta un picciotto qualsiasi promettendogli ricchezza, lo compra e lo rovina.
Dio, questo quadro è eterno: un giovane perderà tutti i suoi soldi. L'altro prima o poi la libertà. Quante volte ancora i giovani dovranno perdersi ascoltando le bugie degli adulti. Ora capisco cosa mi agita in questo quadro: l'INELUTTABILITA' DELLA SOPRAFFAZIONE, che si ripete, identica nei secoli.
Se stato così bravo pittore a descrivere l'ingiustizia da farmi pensare che uccidesti quel ricco prepotente al gioco della palla corda davvero per una scorrettezza e non per questioni di donne. Avevi fama di attacabrighe, MICHELANGELO MERISI DA CARAVAGGIO, ma guardando i tuoi bari oggi, sospetto che fossi solo troppo insofferente all'arroganza.
CARAVAGGIO: testo di Luigi Ceccarelli
Il quadro "I bari" 1594 si trova al Kimbell Art Museum di Fort Worth.

Poesie


Il tuo nome è un uccello sulla mano,
il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua,
un solo movimento delle labbra,
il tuo nome
una palla afferrata al volo,
un sonaglietto d'argento in bocca.

Un sasso scagliato in un placido stagno,
singhiozza così come ti chiami.
Nel leggero schioccare di zoccoli notturni
risuona il tuo nome sonoro.
E' il cane del fucile che schiocca squillante
ce lo fa sentir nelle tempie.

Il tuo nome - ah, non si può! -
il tuo nome - è un bacio sugli occhi,
nel tenero gelo delle immobili palpebre,
il tuo nome è un bacio sulla neve.
Un sorso di sorgente, gelido, azzurro....
Col tuo nome il sonno è profondo.
Marina Cvetaeva

Custodia:
Il nome
le sue ombre
l'uomo, la femmina
Il mazzo, il gong
La i, la o,
La torre, il pozzo,
L'indice, l'ora
L'osso, la rosa,
La rugiada, la fossa,
La sorgente, la fiamma,
Il tizzone, la notte
Il fiume, la città
La chiglia, l'ancora,
Il femminino, la virilità
L'uomo
Il suo corpo di nomi
Il tuo nome nel mio nome.
Nel tuo nome il mio nome.
Uno di fronte all'altro.
Uno contro l'altro.
Uno intorno all'altro.
L'uno nell'altro senza nomi.
Octavio Paz

mercoledì 3 novembre 2010

Risposta ad Ornella


Non riuscendo a risponderti nei commenti ti scrivo un post in risposta a te Ornella per poi scoprire quale sia il problema. E' la quarta volta che tento e spero di riuscirci.
Persone come te sicuramente sincere nel cuore e nell'anima che curano le tombe dei propri cari ci sono al mondo però esiste un'altra fauna che visita i cimiteri e che meriterebbe un calcio nel sedere per quello che dicono o peggio ancora per quello che fanno in quel luogo. Rubare vasi di fiori o fiori freschi per esempio, atti di vandalismo gratuiti e quindi ancora più dolorosi da elaborare per chi ha sepolto da poco un proprio caro. Gite per scoprire e far pettegolezzi sul come ed il perchè di una morte, sul tipo di tomba, il tipo di vaso, la fotografia in ceramica oppure no, ecc. Persone che credimi quando le incontri vorresti essere tu il morto per terrorizzarle per bene come nel Racconto di Natale di Dickens. I cimiteri credo servano soprattutto ai vivi per declinare all'infinito quelle cure amorevole che ora non possono riservare più ai loro cari estinti. I fiori stessi sono un esempio lampante di ciò che dico: certe tombe in estate puzzano di marcio fino a farti torcere le budella per i fiori che le ricoprono. Altre sono abbandonate e sembrano far parte di un cimitero di guerra tanto è lo squallore che le veste. Io ne ho adottata una quando è morta mia madre per poter dare a qualcuno quell'eccedenza di fiori e lumini che la ricopriva. Era di un ragazzo di 23 anni morto nel 1939 poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, fortunatamente forse, per lui. In quel luogo nessuno veniva a disturbarmi ne a chiedermi per l'ennesima volta come era morta mia madre, potevo coltivare il mio lutto in santa pace ed elaborarlo con calma. I fiori finti alcuni di uno squallore tale da essere preferibili le erbe selvatiche alla plastica stinta e deformata dal sole estivo sono poi il colpo di grazia per le tombe abbandonate. Curare le tombe come fai tu dà sollievo invece e ricorda quanto eri utile con loro in vita, ti senti meno disarmata di fronte alla lontananza che la morte porta con sè, a quel silenzio che ti urla dentro. Pensare che i cimiteri fuori dalla città sono nati dopo le pestilenze per evitare contagi dato che i morti venivano sepolti all'interno della cinta muraria o delle chiese stesse con le conseguenze che ti lascio immaginare. Tanti saluti da L., A. e un abbraccio sincero a te ed a tutti i tuoi cari. A presto!

martedì 2 novembre 2010

Commemorazione dei morti


La fine della guerra la vedono solo i morti. Platone
Chissà cosa intendeva Platone scrivendo e pensando ai morti in guerra, alla guerra, a quello che si trova sul campo di battaglia quando sono cessati gli spari, gli scoppi, la lotta. Platone non ha visitato i campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale, le trincee, i fossati scavati inutilmente per proteggere e trasformati in tombe a cielo aperto. I miei due nonni sono riusciti a sopravvivere entrambi a quell'ecatombe. Un vero miracolo di bravura e fortuna. Uno faceva il furiere, l'altro scalava montagne e superava passi con lo zaino pieno di libri tanto da lasciare sbigottito il suo comandante e meritandosi la licenza sempre a Natale per stima, tenerezza, stupore. Il primo ricordava la fame, le ingiustizie, l'odore della morte, la paura sotto una valanga. L'altro solo l'infamia di non poter avere un paio di scarponi nuovi, una coperta ed un giaciglio per riposare al rientro da una battaglia. Il primo è diventato un nemico acerrimo della guerra ed ha visto morire il suo primo figlio durante la Seconda Guerra Mondiale. Il secondo ha sostenuto il fascismo soprattutto quando tutti scappavano a casa e fingevano di non aver indossato mai una camicia nera. Entrambi hanno pagato cari i loro sogni giovanili, i loro ideali, le loro scelte, ma sono morti nel loro letto circondati dalle persone che amavano, vecchi quanto basta per riposare in pace per l'eternità fosse solo per gentilezza di un Dio che li ha messi alla prova senza pietà. Quanto c'è di vero nel credo di un Dio vendicatore, oppure hanno ragione chi pensa che è puro amore. Come conciliare i morti, le membra straziate, l'anima sconvolta per sempre, la sopravvivenza di se stessi con l'amore di Dio. Eppure entrambi credevano ciecamente chi in Gesù, chi in San Francesco, senza trovare nessuna nota stonata in ciò che avevano vissuto ed in ciò in cui credevano ancora fermamente. Quanta dolcezza nei loro visi, più invecchiavano e più imparavano a sorridere di se e volgevano dolce lo sguardo sul mondo che li circondava, sereni e per nulla rabbiosi. Di fronte ai dolori che leggevi nei solchi scavati delle loro rughe ti inchinavi sopraffatto da tanto splendore e saggezza. Ho visto morire solo uno dei due: sembrava dormisse ed era il primo che vedevo nella mia vita, lo amavo forse più di me stessa perchè sapeva leggere dentro di me e non usava la gomma quando non era convinto della sintassi della mia anima. Gli ho toccato la fronte, le mani, tiepide, ho osservato con attenzione il viso distendersi, i muscoli rilassarsi, ho gridato quando hanno fissato le viti del coperchio della cassa in cui era stato deposto. Il rumore del trapano mi ha fatto capire che era partito, il distacco l'ho compreso solo allora e come tutti i giovani ho faticato ad accettare ciò che il tempo mi sussurrava, quell'assenza-presenza priva di suoni tranne quello secco e persistente di un trapano. Sono sempre stupita da ciò che può suscitare l'assenza improvvisa di qualcuno che si dà per scontato come immortale ed invece non lo è. Sto vedendo il dolore quotidiano di genitori che stanno perdendo la lotta contro il cancro che ha colpito i loro figli. La fine di un vecchio uomo è diversa: senza clamori ne emozioni devastanti, ma corrosiva come la ruggine. Chi conosce più segreti di noi, più verità, ci lascia e dobbiamo imparare da soli a cercare le nostre verità, quelle degli altri, i nostri segreti, come ad imparare a camminare. Non ci sono più i loro sorrisi agrodolci ad accompagnare le nostre cadute. Imparare a ridere da soli, forse la fatica più improba per un discendente delle scimmie, di quella Lucy scoperta in Africa nostra antenata ed ora conservata come una reliquia dagli antropologi. Sicuri che sappiamo il motivo per cui commemoriamo i morti oppure siamo solo abituati a rendere una volta all'anno le tombe più pulite, coreografiche, illuminate da lumini elettrici, o da candele che la pioggia od il vento spegnerà immancabilmente prima di essere consumate del tutto? C'è oggi tanta ipocrisia intorno a quelle bare, tanta coreografica mostra di sè, tranne in quelle più recenti, ancora calde per le lacrime versate od il dolore che le ricopre di fiocchi, vasi, scritte, fotografie..... Buon anniversario ovunque voi siate, riposate in pace se potete, questo è l'augurio più sincero proveniente da chi ancora si dibatte quaggiù! Dormire, morire, la stessa cosa credetemi, la stessa identica cosa!

domenica 31 ottobre 2010

Sera


Gioia:
Quello che io penso prima che sia pensato
Quello che io faccio prima che sia fatto
La mano nella sabbia
Forgiando un pensiero senza senso
Via dall'uno verso l'altro
Cielo tra terra e terra.
I.Muller

venerdì 29 ottobre 2010

Inge Muller e la crisi degli studi umanistici


Grandissima poetessa della Germania dell'est, ex DDR, poco conosciuta perfino dai tedeschi, da me scoperta pochi mesi fa e con l'ausilio di Google ritrovata in traduzioni degne di questo nome. Le prime che qui trascrivo sono di Federica Venier.

Li ho visti; uomini senza Dio.
Abbandonati
E silenziosi.
Esserlo non lo sarò più.
E' molto
Se si ricordano.
E niente letteratura.

Per ridere non ho bisogno di un motivo.
Per piangere di nessun dolore.
Sono come voi e da voi ferita.
Non sono nessuna
Oppure solo una bocca Dodecafonica e terza.

Grigio è il cielo dell'alba.
Il primo storno canta nella neve
Prima che il sole sia alto.
(la morte fa male a chi canta)

Era amore
quando venni da te perchè dovevo.
Era amore quando ti lasciai
Perchè sapevo.
l'antica vergogna è falsa vergogna.
Qui non fu d'aiuto alcun dio
nè alcuna compagnia.
E andai. E qui nulla fu fatto.
Guardai me e te
E guardai gli altri.
E non bastava ancora.
Qui non fu d'aiuto alcuna separazione.

Inge Muller.
P.S. Leggo:
da un articolo di Martha C. Nussbaum, The Times Literary Supplement
Gran Bretagna.
"Stiamo vivendo una crisi di enormi proporzioni e di portata globale.Non mi riferisco alla recessione economica cominciata nel 2008, ma a una crisi che passa inosservata e che alla lunga sarà molto più dannosa per il futuro della democrazia: la crisi mondiale dell'istruzione.
Sono in corso cambiamenti radicali in quello che le socità democratiche insegnano ai giovani e, su questi cambiamenti non si riflette abbastanza.
Attirati dal profitto, molti paesi e i loro sistemi scolastici stanno escludendo alcuni saperi indispensabili a mantenere viva la democrazia e, se questa tendenza continuerà, gli stati di tutto il mondo produrranno generazioni di macchine docili, utili e tecnicamente qualificate, invece di cittadini a pieno titolo, in grado di pensare da soli, mettere in discussione le consuetudini e, comprendere le sofferenze ed i successi degli altri.
Quali sono questi cambiamenti radicali? Gli studi umanistici ed artistici stanno subendo pesanti tagli sia nell'istruzione primaria e secondaria sia in quella universitaria, in quasi tutti i paesi del mondo. In un momento in cui gli stati devono eliminare il superfluo per rimanere competitivi sul mercato globale, le lettere e le arti - considerate accessorie dai politici - stanno rapidamente sparendo dai programmi di studio, dalle menti e dai cuori di genitori e studenti.
Anche quelli che potremmo definire gli aspetti umanistici della scienza e delle scienze sociali -l'aspetto creativo e inventivo e, il pensiero critico rigoroso - stanno passando in secondo piano, perchè si preferisce inseguire il profitto a breve termine garantito da conoscenze pratiche adatte a questo scopo.
Stiamo inseguendo i beni materiali che ci piacciono, e ci danno sicurezza e conforto: quelli che lo scrittore e filosofo indiano Rabindranath Tagore chiamava il nostro "rivestimento" materiale. Ma sembriamo aver dimenticato le capacità di pensiero e immaginazione che ci rendono umani, e che ci permettono di avere relazioni umanamente ricche invece di semplici legami utilitaristici.
Se non siamo educati a vedere noi stessi e gli altri in questo modo, immaginando le reciproche capacità di pensiero ed emozione, la democrazia è destinata ad entrare in crisi perchè si basa sul rispetto per gli altri. Questi sentimenti a loro volta si basano sulla capacità di vedere le altre persone come esseri umani e non come oggetti. Ciò che ritengo grave è che l'istruzione a scopo di lucro richiede conoscenze di base, come scrivere e fare di conto e la parità di accesso non è importante. Evviva Inge Muller, allora, un po' triste ed in tema con questi giorni di fine ottobre vicini alla commemorazione dei defunti, ad Halloween, ai Santi da pregare perchè lo studio della poesia, dell'arte, della filosofia....non diventi simile alla commemorazione dei morti o al tema di una festa in costume!

Non solo prostitute dell'anima e del corpo......


Quando ci penso che il tempo è passato
Le vecchie madri che ci hanno portato
Poi le ragazze che furono amore,
e poi le mogli, e le figlie,e le nuore,
Femmina penso, se penso una gioia.
Pensarci il maschio,ci penso alla noia.
Quando ci penso che il tempo è venuto
La partigiana che qui ha combattuto.
Quella colpita, ferita una volta,
e quella morta che abbiamo sepolta.
Femmina penso ,se penso alla pace!
Pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perchè la donna non è cielo,
è terra,
carne di terra che non vuole guerra.
E' in questa terra che io fui seminato
vita ho vissuto che dentro ho piantato.
Qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte,
che divento niente!
Femmina penso se penso l'umano!
La mia compagna:
ti prendo per mano!

Da BALLATA DELLE DONNE
di Edoardo Sanguineti.

martedì 26 ottobre 2010

Alfabeti


Fin da piccola cercavo nelle parole scritte o pronunciate da altri i suoni ed i segni delle mie, come se qualcuno me le avesse portate via ed io fossi costretta a cercarle, trovarle, farle diventare di nuovo mie. Ho imparato a leggere dopo un mese e mezzo che frequentavo la prima elementare. Mi mancavano le ultime lettere dell'alfabeto eppure senza capirne il significato sapevo leggerle ed in lettura prendevo sempre dieci. A scrivere invece ho fatto così fatica da imbestialire sia mio padre quando mi aiutava a fare i compiti che la maestra che mi guardava con uno sguardo di sufficienza e perplessità. Ero circondata dai libri, immersa da pagine ingiallite o nivee, dai bordi color seppia e da disegni di ogni tipo, pagine profumate di muffa o di vecchio, dall'odore di inchiostro appena usato in tipografia o di saponetta con cui si erano lavati le mani chi aveva appena posato quel testo su un tavolo o su un comodino. La carta di riso con cui si stampavano i libri di poesia avava la consistenza delle nuvole, della seta, di una carezza. Non vedevo l'ora di decifrare tutti quei segni, quei colori meravigliosi. Perfino le immagini in bianco e nero erano affascinanti e mio nonno materno coltivava questo mio interesse come il giardiniere di Babilonia le terrazze pensili di quella meravigliosa città antica. Fino a otto-dieci anni ho creduto che la mia lingua fosse parlata in tutto il mondo e quando ho scoperto tutte le altre lingue, i fonemi, gli idiomi di ogni latitudine e luogo, di ogni tempo e materia, ho creduto per un attimo che la torre di Babele fosse una benedizione del cielo e non una punizione. A fatica ho compreso quali difficoltà una lingua diversa, anche con l'ausilio del linguaggio dei gesti e del corpo,può generare. La danza per un certo tempo sembrava supplire queste difficoltà ma con la danza non si firmano i trattati di pace. Sono passata alle sculture, ai quadri, alle incisioni rupestri, ai disegni dei bambini ma nulla di fatto, le guerre continuavano ad esistere più intense e devastanti di prima. Di fronte alla Pietà di Michelangelo non si commuove neppure Bin Laden suppongo e sognarlo è puro anacronismo. Di fronte ad una vallata protetta dal tempo e dagli uomini, ancora intatta e non calpestata da interessi economici o di sfruttamento lo sguardo di un essere umano da stupito diventa giallo dal livore dell'avidità prodotta nei suoi pensieri da tanta magnificenza. Conosco quello sguardo e ci sono migliaia di parole pronte a descriverlo. Conosco il livore dell'invidia prodotta da ciò che non si potrà mai possedere, una qualità, un oggetto, uno status sociale, l'inclinazione obliqua dello sguardo, le rughe intorno alle labbra in un'espressione che molti pittori sono riusciti a fissare sulla tela con maestria ma che dal vivo è ancora più inquietante. Ho imparato a leggere non solo le lettere dell'alfabeto, ma anche a decifrare una risata, un gesto, una fronte che si piega come la carta crespa o si distende come il mare in bonaccia; conosco ogni movimento impercettibile di un muscolo facciale per decifrare sentimenti per niente criptici ma a volte di una volgarità che si stenta a credere appartengano ad un bel viso, ad un giovane volto, a qualcuno che si ama e si vede per la prima volta così come è, denudato di fronte alla nostra capacità improvvisa di andare a fondo nel suo animo. Trovare lo squallore negli occhi di chi non conosciamo è un indizio che ci mette in allarme, ma scoprirlo in chi amiamo è come una deflagrazione improvvisa in cui le membra della nostra anima sono fatte a brandelli. Un'esplosione senza obiettivo ne progetto e quindi distruttiva al massimo. I terroristi dell'anima li conosce bene il popolo ebraico che nell'ironia, nella durezza e nella tenacia hanno scoperto la capacità di sopravvivere perfino ad uno sterminio di massa come quello del XX secolo. Leggo le loro poesie ed opere e mi inchino di fronte a tanta lieve dolcezza, disarmante come tutte le verità che, usano per descrive la morte di milioni di persone. L'hanno definita la banalità del male, la causa prima delle loro sventure, un incipit potentissimo che non si permette di giudicare ma di definire quello che è accaduto. La bestialità umana si trova anche nelle mie amate parole, nelle lettere dell'alfabeto usate per codificare uno sterminio, per progettarlo. Una frase su una lettera, l'ultima spedita da un certo David Berger a Vilna nel 1941 mi stringe il cuore ogni volta che la rileggo: "....I should like someone to remember that there once lived a person named David Berger." Io ricordo, fin troppo tutte le vite che ho incontrato, anche quelle che non ho conosciuto direttamente, i loro nomi sono suoni preziosi che evocano la fatica e la gioia del vivere quotidiano, fatto anche di piccole cose, di eventi insignificanti in apparenza, ma importanti per distinguere una vita da una non vita, una morte da una crudele cessazione di tutte le funzioni vitali. Se le parole continuassero ad essere quelle che erano per gli sciamani, preziosa, magiche, evocatrici di energie positive o negative, conoscessimo ancora l'arte di usarle per esistere e non per mascherarci dietro di loro, quanto sarebbe meno faticoso dibatterci in questa boccia di vetro che è diventata la nostra rabbiosa umanità!

sabato 23 ottobre 2010

Panchina


Se la panchina rischia l'estinzione è perchè è considerata pericolosa. E' considerata pericolosa per la sua casualità e gratuità, che urta contro le norme della circolazione e quelle del controllo sociale.
Anche l'arte contemporanea si fa portatrice della poeticità, della gratuità e dell'umanità delle panchine. D'altronde l'arte porta da sempre l'attenzione sulle soglie, sulla frontiera tra l'interno e l'esterno dell'abitare, che la panchina incarna così bene. Le panchine sono sculture da vivere con il corpo, che invitano all'abbandono. Le panchine ispirano un'idea bellissima di ospitalità e di accoglienza. Ci si siede sopra quando si è tranquilli, lì ci si può inventare la vita. Le panchine contengono poi l'idea dello stare insieme, per esempio una promessa di conversazione con persone che non conosciamo e non prevediamo. Tuttavia se una cosa ci piace possiamo stare sicuri che prima o poi ce la toglieranno. A Bagnocavallo nell'Orto dei Semplici, per il centenario di Leo Longanesi, che lì era nato, due anni fa hanno realizzato il "Giardino degli Aforismi": dieci panchine liberty in ferro battuto disegnate appositamente, con sopra incisi, in targhe in ottone, degli aforismi d'epoca di Longanesi.
Le panchine rimandano allo stare seduti: che cosa è sedersi? Quanta parte dela vita avvine da seduti? Quanti sinonimi di panchine esistono nella nostra vita quotidiana, nei nostri atti, che ci passano inosservati? Non siamo su una specie di panchina anche quando siamo al cinema o a teatro, per non dire in una chiesa? A definire le panchine, tuttavia, non è solo il sedersi, ma un certo tipo di sedersi, un certo uso, non solo e non tanto del proprio corpo quanto del proprio tempo, e della propria mente. Lasciare libera la mente di vagare, divagare. Passeggiare da fermi. In francese c'è una parola - reverie - che dà il titolo all'opera postuma di Jean-Jacques Rousseau, " Les reveries du promeneur solitaire " Il trasognamento del passeggiatore solitario che contiene il sognare: essere, appunto, trasognati. Le passeggiate di Rousseau sono un elogio del contemplare, del sentire lo scorere del tempo, del godimento che si prova a non agire, del senso di pace e di comunione col mondo. Dove per la prima volta, a proposito delle sensazioni che se ne traggono, e del paesaggio creato non solo dallo sguardo ma anche dalla disposizione della mente, appare l'aggettivo "romantico". Anche nel buddhismo zen la meditazione si esegue stando seduti. Essere seduti intensamente, osservando senza oggetto, senza scopo, così come crescono l'erba e gli alberi da soli. Le illusioni così vengono mitigate e così pure i desideri via via eliminati dal nostro sentire.
Nell'infinito di Leopardi si legge: " Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete.........."
Nel libro di Beppe Sebaste "Panchine" si legge tutto questo ed altro ancora. Per chi ama le panchine come me una vera delizia, una grazia da assorbire con gli occhi per imprimere nella memoria il senso profondo dell'essere viva, su una panchina seduta, a rimirare il mondo intorno a me ed accettare così quello dentro di me. Buona lettura a chiunque sia interessato!