Scende la sera, immobili sono i prati. Il gorgogliare del ruscello assetato silente tutto il giorno si leva di nuovo. Abbandonata è la quasi falciata pianura, silenziose le stoppie..........E lontano sul puro orizzonte vedi pulsante per la prima stella il liquido cielo sopra la collina.

martedì 26 ottobre 2010

Alfabeti


Fin da piccola cercavo nelle parole scritte o pronunciate da altri i suoni ed i segni delle mie, come se qualcuno me le avesse portate via ed io fossi costretta a cercarle, trovarle, farle diventare di nuovo mie. Ho imparato a leggere dopo un mese e mezzo che frequentavo la prima elementare. Mi mancavano le ultime lettere dell'alfabeto eppure senza capirne il significato sapevo leggerle ed in lettura prendevo sempre dieci. A scrivere invece ho fatto così fatica da imbestialire sia mio padre quando mi aiutava a fare i compiti che la maestra che mi guardava con uno sguardo di sufficienza e perplessità. Ero circondata dai libri, immersa da pagine ingiallite o nivee, dai bordi color seppia e da disegni di ogni tipo, pagine profumate di muffa o di vecchio, dall'odore di inchiostro appena usato in tipografia o di saponetta con cui si erano lavati le mani chi aveva appena posato quel testo su un tavolo o su un comodino. La carta di riso con cui si stampavano i libri di poesia avava la consistenza delle nuvole, della seta, di una carezza. Non vedevo l'ora di decifrare tutti quei segni, quei colori meravigliosi. Perfino le immagini in bianco e nero erano affascinanti e mio nonno materno coltivava questo mio interesse come il giardiniere di Babilonia le terrazze pensili di quella meravigliosa città antica. Fino a otto-dieci anni ho creduto che la mia lingua fosse parlata in tutto il mondo e quando ho scoperto tutte le altre lingue, i fonemi, gli idiomi di ogni latitudine e luogo, di ogni tempo e materia, ho creduto per un attimo che la torre di Babele fosse una benedizione del cielo e non una punizione. A fatica ho compreso quali difficoltà una lingua diversa, anche con l'ausilio del linguaggio dei gesti e del corpo,può generare. La danza per un certo tempo sembrava supplire queste difficoltà ma con la danza non si firmano i trattati di pace. Sono passata alle sculture, ai quadri, alle incisioni rupestri, ai disegni dei bambini ma nulla di fatto, le guerre continuavano ad esistere più intense e devastanti di prima. Di fronte alla Pietà di Michelangelo non si commuove neppure Bin Laden suppongo e sognarlo è puro anacronismo. Di fronte ad una vallata protetta dal tempo e dagli uomini, ancora intatta e non calpestata da interessi economici o di sfruttamento lo sguardo di un essere umano da stupito diventa giallo dal livore dell'avidità prodotta nei suoi pensieri da tanta magnificenza. Conosco quello sguardo e ci sono migliaia di parole pronte a descriverlo. Conosco il livore dell'invidia prodotta da ciò che non si potrà mai possedere, una qualità, un oggetto, uno status sociale, l'inclinazione obliqua dello sguardo, le rughe intorno alle labbra in un'espressione che molti pittori sono riusciti a fissare sulla tela con maestria ma che dal vivo è ancora più inquietante. Ho imparato a leggere non solo le lettere dell'alfabeto, ma anche a decifrare una risata, un gesto, una fronte che si piega come la carta crespa o si distende come il mare in bonaccia; conosco ogni movimento impercettibile di un muscolo facciale per decifrare sentimenti per niente criptici ma a volte di una volgarità che si stenta a credere appartengano ad un bel viso, ad un giovane volto, a qualcuno che si ama e si vede per la prima volta così come è, denudato di fronte alla nostra capacità improvvisa di andare a fondo nel suo animo. Trovare lo squallore negli occhi di chi non conosciamo è un indizio che ci mette in allarme, ma scoprirlo in chi amiamo è come una deflagrazione improvvisa in cui le membra della nostra anima sono fatte a brandelli. Un'esplosione senza obiettivo ne progetto e quindi distruttiva al massimo. I terroristi dell'anima li conosce bene il popolo ebraico che nell'ironia, nella durezza e nella tenacia hanno scoperto la capacità di sopravvivere perfino ad uno sterminio di massa come quello del XX secolo. Leggo le loro poesie ed opere e mi inchino di fronte a tanta lieve dolcezza, disarmante come tutte le verità che, usano per descrive la morte di milioni di persone. L'hanno definita la banalità del male, la causa prima delle loro sventure, un incipit potentissimo che non si permette di giudicare ma di definire quello che è accaduto. La bestialità umana si trova anche nelle mie amate parole, nelle lettere dell'alfabeto usate per codificare uno sterminio, per progettarlo. Una frase su una lettera, l'ultima spedita da un certo David Berger a Vilna nel 1941 mi stringe il cuore ogni volta che la rileggo: "....I should like someone to remember that there once lived a person named David Berger." Io ricordo, fin troppo tutte le vite che ho incontrato, anche quelle che non ho conosciuto direttamente, i loro nomi sono suoni preziosi che evocano la fatica e la gioia del vivere quotidiano, fatto anche di piccole cose, di eventi insignificanti in apparenza, ma importanti per distinguere una vita da una non vita, una morte da una crudele cessazione di tutte le funzioni vitali. Se le parole continuassero ad essere quelle che erano per gli sciamani, preziosa, magiche, evocatrici di energie positive o negative, conoscessimo ancora l'arte di usarle per esistere e non per mascherarci dietro di loro, quanto sarebbe meno faticoso dibatterci in questa boccia di vetro che è diventata la nostra rabbiosa umanità!

2 commenti:

  1. Anche a te invio tutto il mio affetto. Sono appena uscita dall'ospedale. Niente di grave ma non riesco ancora a parlare. Uno shock anafilattico con complicanze respiratorie mi ha lasciato la voce rauca ed "in cantina" come si suol dire. Al telefono sembro una fumatrice di 80 anni. Con pazienza mi tornerà. Ora sto bene, conosco anche la causa che l'ha scatenato e quindi posso prevenire in futuro altri episodi del genere. In questo caso non avevo bisogno di parole ma del linguaggio dei segni. Quando non respiri difficilmente sei coordinata nel dare delle spiegazioni. Sembravo un arbitro quando segnala al guardalinee i falli solo che dell'arbitro possedevo unicamente la segnaletica impazzita. Dall'esterno devo essere sembrata alquanto comica. La mia fortuna è stata che ero ancora all'interno dell'ospedale presso il Pronto Soccorso. Più sedere che anima è vero, lo ammetto! Ma a volte fa piacere scoprire che la fortuna bussa alla tua porta e cammina con passi pesanti verso di te! Altro che enalotto in questo caso ti pare? A presto.

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