Scende la sera, immobili sono i prati. Il gorgogliare del ruscello assetato silente tutto il giorno si leva di nuovo. Abbandonata è la quasi falciata pianura, silenziose le stoppie..........E lontano sul puro orizzonte vedi pulsante per la prima stella il liquido cielo sopra la collina.

domenica 31 ottobre 2010

Sera


Gioia:
Quello che io penso prima che sia pensato
Quello che io faccio prima che sia fatto
La mano nella sabbia
Forgiando un pensiero senza senso
Via dall'uno verso l'altro
Cielo tra terra e terra.
I.Muller

venerdì 29 ottobre 2010

Inge Muller e la crisi degli studi umanistici


Grandissima poetessa della Germania dell'est, ex DDR, poco conosciuta perfino dai tedeschi, da me scoperta pochi mesi fa e con l'ausilio di Google ritrovata in traduzioni degne di questo nome. Le prime che qui trascrivo sono di Federica Venier.

Li ho visti; uomini senza Dio.
Abbandonati
E silenziosi.
Esserlo non lo sarò più.
E' molto
Se si ricordano.
E niente letteratura.

Per ridere non ho bisogno di un motivo.
Per piangere di nessun dolore.
Sono come voi e da voi ferita.
Non sono nessuna
Oppure solo una bocca Dodecafonica e terza.

Grigio è il cielo dell'alba.
Il primo storno canta nella neve
Prima che il sole sia alto.
(la morte fa male a chi canta)

Era amore
quando venni da te perchè dovevo.
Era amore quando ti lasciai
Perchè sapevo.
l'antica vergogna è falsa vergogna.
Qui non fu d'aiuto alcun dio
nè alcuna compagnia.
E andai. E qui nulla fu fatto.
Guardai me e te
E guardai gli altri.
E non bastava ancora.
Qui non fu d'aiuto alcuna separazione.

Inge Muller.
P.S. Leggo:
da un articolo di Martha C. Nussbaum, The Times Literary Supplement
Gran Bretagna.
"Stiamo vivendo una crisi di enormi proporzioni e di portata globale.Non mi riferisco alla recessione economica cominciata nel 2008, ma a una crisi che passa inosservata e che alla lunga sarà molto più dannosa per il futuro della democrazia: la crisi mondiale dell'istruzione.
Sono in corso cambiamenti radicali in quello che le socità democratiche insegnano ai giovani e, su questi cambiamenti non si riflette abbastanza.
Attirati dal profitto, molti paesi e i loro sistemi scolastici stanno escludendo alcuni saperi indispensabili a mantenere viva la democrazia e, se questa tendenza continuerà, gli stati di tutto il mondo produrranno generazioni di macchine docili, utili e tecnicamente qualificate, invece di cittadini a pieno titolo, in grado di pensare da soli, mettere in discussione le consuetudini e, comprendere le sofferenze ed i successi degli altri.
Quali sono questi cambiamenti radicali? Gli studi umanistici ed artistici stanno subendo pesanti tagli sia nell'istruzione primaria e secondaria sia in quella universitaria, in quasi tutti i paesi del mondo. In un momento in cui gli stati devono eliminare il superfluo per rimanere competitivi sul mercato globale, le lettere e le arti - considerate accessorie dai politici - stanno rapidamente sparendo dai programmi di studio, dalle menti e dai cuori di genitori e studenti.
Anche quelli che potremmo definire gli aspetti umanistici della scienza e delle scienze sociali -l'aspetto creativo e inventivo e, il pensiero critico rigoroso - stanno passando in secondo piano, perchè si preferisce inseguire il profitto a breve termine garantito da conoscenze pratiche adatte a questo scopo.
Stiamo inseguendo i beni materiali che ci piacciono, e ci danno sicurezza e conforto: quelli che lo scrittore e filosofo indiano Rabindranath Tagore chiamava il nostro "rivestimento" materiale. Ma sembriamo aver dimenticato le capacità di pensiero e immaginazione che ci rendono umani, e che ci permettono di avere relazioni umanamente ricche invece di semplici legami utilitaristici.
Se non siamo educati a vedere noi stessi e gli altri in questo modo, immaginando le reciproche capacità di pensiero ed emozione, la democrazia è destinata ad entrare in crisi perchè si basa sul rispetto per gli altri. Questi sentimenti a loro volta si basano sulla capacità di vedere le altre persone come esseri umani e non come oggetti. Ciò che ritengo grave è che l'istruzione a scopo di lucro richiede conoscenze di base, come scrivere e fare di conto e la parità di accesso non è importante. Evviva Inge Muller, allora, un po' triste ed in tema con questi giorni di fine ottobre vicini alla commemorazione dei defunti, ad Halloween, ai Santi da pregare perchè lo studio della poesia, dell'arte, della filosofia....non diventi simile alla commemorazione dei morti o al tema di una festa in costume!

Non solo prostitute dell'anima e del corpo......


Quando ci penso che il tempo è passato
Le vecchie madri che ci hanno portato
Poi le ragazze che furono amore,
e poi le mogli, e le figlie,e le nuore,
Femmina penso, se penso una gioia.
Pensarci il maschio,ci penso alla noia.
Quando ci penso che il tempo è venuto
La partigiana che qui ha combattuto.
Quella colpita, ferita una volta,
e quella morta che abbiamo sepolta.
Femmina penso ,se penso alla pace!
Pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perchè la donna non è cielo,
è terra,
carne di terra che non vuole guerra.
E' in questa terra che io fui seminato
vita ho vissuto che dentro ho piantato.
Qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte,
che divento niente!
Femmina penso se penso l'umano!
La mia compagna:
ti prendo per mano!

Da BALLATA DELLE DONNE
di Edoardo Sanguineti.

martedì 26 ottobre 2010

Alfabeti


Fin da piccola cercavo nelle parole scritte o pronunciate da altri i suoni ed i segni delle mie, come se qualcuno me le avesse portate via ed io fossi costretta a cercarle, trovarle, farle diventare di nuovo mie. Ho imparato a leggere dopo un mese e mezzo che frequentavo la prima elementare. Mi mancavano le ultime lettere dell'alfabeto eppure senza capirne il significato sapevo leggerle ed in lettura prendevo sempre dieci. A scrivere invece ho fatto così fatica da imbestialire sia mio padre quando mi aiutava a fare i compiti che la maestra che mi guardava con uno sguardo di sufficienza e perplessità. Ero circondata dai libri, immersa da pagine ingiallite o nivee, dai bordi color seppia e da disegni di ogni tipo, pagine profumate di muffa o di vecchio, dall'odore di inchiostro appena usato in tipografia o di saponetta con cui si erano lavati le mani chi aveva appena posato quel testo su un tavolo o su un comodino. La carta di riso con cui si stampavano i libri di poesia avava la consistenza delle nuvole, della seta, di una carezza. Non vedevo l'ora di decifrare tutti quei segni, quei colori meravigliosi. Perfino le immagini in bianco e nero erano affascinanti e mio nonno materno coltivava questo mio interesse come il giardiniere di Babilonia le terrazze pensili di quella meravigliosa città antica. Fino a otto-dieci anni ho creduto che la mia lingua fosse parlata in tutto il mondo e quando ho scoperto tutte le altre lingue, i fonemi, gli idiomi di ogni latitudine e luogo, di ogni tempo e materia, ho creduto per un attimo che la torre di Babele fosse una benedizione del cielo e non una punizione. A fatica ho compreso quali difficoltà una lingua diversa, anche con l'ausilio del linguaggio dei gesti e del corpo,può generare. La danza per un certo tempo sembrava supplire queste difficoltà ma con la danza non si firmano i trattati di pace. Sono passata alle sculture, ai quadri, alle incisioni rupestri, ai disegni dei bambini ma nulla di fatto, le guerre continuavano ad esistere più intense e devastanti di prima. Di fronte alla Pietà di Michelangelo non si commuove neppure Bin Laden suppongo e sognarlo è puro anacronismo. Di fronte ad una vallata protetta dal tempo e dagli uomini, ancora intatta e non calpestata da interessi economici o di sfruttamento lo sguardo di un essere umano da stupito diventa giallo dal livore dell'avidità prodotta nei suoi pensieri da tanta magnificenza. Conosco quello sguardo e ci sono migliaia di parole pronte a descriverlo. Conosco il livore dell'invidia prodotta da ciò che non si potrà mai possedere, una qualità, un oggetto, uno status sociale, l'inclinazione obliqua dello sguardo, le rughe intorno alle labbra in un'espressione che molti pittori sono riusciti a fissare sulla tela con maestria ma che dal vivo è ancora più inquietante. Ho imparato a leggere non solo le lettere dell'alfabeto, ma anche a decifrare una risata, un gesto, una fronte che si piega come la carta crespa o si distende come il mare in bonaccia; conosco ogni movimento impercettibile di un muscolo facciale per decifrare sentimenti per niente criptici ma a volte di una volgarità che si stenta a credere appartengano ad un bel viso, ad un giovane volto, a qualcuno che si ama e si vede per la prima volta così come è, denudato di fronte alla nostra capacità improvvisa di andare a fondo nel suo animo. Trovare lo squallore negli occhi di chi non conosciamo è un indizio che ci mette in allarme, ma scoprirlo in chi amiamo è come una deflagrazione improvvisa in cui le membra della nostra anima sono fatte a brandelli. Un'esplosione senza obiettivo ne progetto e quindi distruttiva al massimo. I terroristi dell'anima li conosce bene il popolo ebraico che nell'ironia, nella durezza e nella tenacia hanno scoperto la capacità di sopravvivere perfino ad uno sterminio di massa come quello del XX secolo. Leggo le loro poesie ed opere e mi inchino di fronte a tanta lieve dolcezza, disarmante come tutte le verità che, usano per descrive la morte di milioni di persone. L'hanno definita la banalità del male, la causa prima delle loro sventure, un incipit potentissimo che non si permette di giudicare ma di definire quello che è accaduto. La bestialità umana si trova anche nelle mie amate parole, nelle lettere dell'alfabeto usate per codificare uno sterminio, per progettarlo. Una frase su una lettera, l'ultima spedita da un certo David Berger a Vilna nel 1941 mi stringe il cuore ogni volta che la rileggo: "....I should like someone to remember that there once lived a person named David Berger." Io ricordo, fin troppo tutte le vite che ho incontrato, anche quelle che non ho conosciuto direttamente, i loro nomi sono suoni preziosi che evocano la fatica e la gioia del vivere quotidiano, fatto anche di piccole cose, di eventi insignificanti in apparenza, ma importanti per distinguere una vita da una non vita, una morte da una crudele cessazione di tutte le funzioni vitali. Se le parole continuassero ad essere quelle che erano per gli sciamani, preziosa, magiche, evocatrici di energie positive o negative, conoscessimo ancora l'arte di usarle per esistere e non per mascherarci dietro di loro, quanto sarebbe meno faticoso dibatterci in questa boccia di vetro che è diventata la nostra rabbiosa umanità!

sabato 23 ottobre 2010

Panchina


Se la panchina rischia l'estinzione è perchè è considerata pericolosa. E' considerata pericolosa per la sua casualità e gratuità, che urta contro le norme della circolazione e quelle del controllo sociale.
Anche l'arte contemporanea si fa portatrice della poeticità, della gratuità e dell'umanità delle panchine. D'altronde l'arte porta da sempre l'attenzione sulle soglie, sulla frontiera tra l'interno e l'esterno dell'abitare, che la panchina incarna così bene. Le panchine sono sculture da vivere con il corpo, che invitano all'abbandono. Le panchine ispirano un'idea bellissima di ospitalità e di accoglienza. Ci si siede sopra quando si è tranquilli, lì ci si può inventare la vita. Le panchine contengono poi l'idea dello stare insieme, per esempio una promessa di conversazione con persone che non conosciamo e non prevediamo. Tuttavia se una cosa ci piace possiamo stare sicuri che prima o poi ce la toglieranno. A Bagnocavallo nell'Orto dei Semplici, per il centenario di Leo Longanesi, che lì era nato, due anni fa hanno realizzato il "Giardino degli Aforismi": dieci panchine liberty in ferro battuto disegnate appositamente, con sopra incisi, in targhe in ottone, degli aforismi d'epoca di Longanesi.
Le panchine rimandano allo stare seduti: che cosa è sedersi? Quanta parte dela vita avvine da seduti? Quanti sinonimi di panchine esistono nella nostra vita quotidiana, nei nostri atti, che ci passano inosservati? Non siamo su una specie di panchina anche quando siamo al cinema o a teatro, per non dire in una chiesa? A definire le panchine, tuttavia, non è solo il sedersi, ma un certo tipo di sedersi, un certo uso, non solo e non tanto del proprio corpo quanto del proprio tempo, e della propria mente. Lasciare libera la mente di vagare, divagare. Passeggiare da fermi. In francese c'è una parola - reverie - che dà il titolo all'opera postuma di Jean-Jacques Rousseau, " Les reveries du promeneur solitaire " Il trasognamento del passeggiatore solitario che contiene il sognare: essere, appunto, trasognati. Le passeggiate di Rousseau sono un elogio del contemplare, del sentire lo scorere del tempo, del godimento che si prova a non agire, del senso di pace e di comunione col mondo. Dove per la prima volta, a proposito delle sensazioni che se ne traggono, e del paesaggio creato non solo dallo sguardo ma anche dalla disposizione della mente, appare l'aggettivo "romantico". Anche nel buddhismo zen la meditazione si esegue stando seduti. Essere seduti intensamente, osservando senza oggetto, senza scopo, così come crescono l'erba e gli alberi da soli. Le illusioni così vengono mitigate e così pure i desideri via via eliminati dal nostro sentire.
Nell'infinito di Leopardi si legge: " Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete.........."
Nel libro di Beppe Sebaste "Panchine" si legge tutto questo ed altro ancora. Per chi ama le panchine come me una vera delizia, una grazia da assorbire con gli occhi per imprimere nella memoria il senso profondo dell'essere viva, su una panchina seduta, a rimirare il mondo intorno a me ed accettare così quello dentro di me. Buona lettura a chiunque sia interessato!

venerdì 22 ottobre 2010

Autunno


Più miti sono ora le mattine,
le noci si colorano di scuro;
Più rotonda è la guancia delle bacche,
la rosa ha lasciato la città.

L'acero sfoggia sciarpe più festose,
ed il prato una veste di scarlatto -
Per paura di essere fuori moda,
voglio mettermi un ciondolo. Emily Dickinson

giovedì 21 ottobre 2010

Pioggia


Cammino lentamente
ed osservo i ciottoli
venati dalla pioggia.
Vorrei confondere il mio viso
tra quei rivoli
invece,
maldestra,
inciampo.
Sorrido a me stessa.
Cerco un nuovo equilibrio
e mesta riprendo il controllo
dei miei passi.
Guardo i piedi.
Son loro grata
per aver schiaffeggiato
la mia tristezza.
Buffo vero?
Ho imparato a ridere coi piedi.
Aithne, PPG, 1993

mercoledì 20 ottobre 2010

Foliage


Profili magici;
ombre che illuminano i passi,
orme custodite dalla neve,
aloni dipinti dal sole intorno alla luna
con i colori dell'arcobaleno.

Profili incantati;
foglie in un erbario,
rami intrecciati in un abbraccio
orizzonti che segnano i movimenti del tempo
in una danza che fine ed inizio non ha.

Profili dell'anima;
il respiro di una cascata nell'aria rarefatta,
gocce di rugiada lungo i fili di minuscole ragnatele
perle bianche e nere adagiate sopra il cuore
per illuminare le sue ferite
per nascondere le sue cicatrici.

Disegna i sentimenti con questi profili.....
usa tratti fini, arrotondati dalla pazienza
e nutri l'anima con i colori
saziala con la musica della vita.
Ma non scherzare con la luce del sole!
Bada essa può dipingere il buio,
Essa può far scoppiare il cuore. Aithne, PPG, 1987

Pane ed orologi


Fermate gli orologi,
Tagliate i fili del telefono
e regalate un osso al cane affinchè non abbai.
Faccia silenzio il pianoforte,
tacciano i risonanti tamburi.
Che avanzi la bara,
Che vengano gli amici dolenti.
Lasciate che gli aerei volteggino nel cielo
e scrivano l'odioso messaggio:
"Lui è morto!"
Guarnite di crespo il collo bianco dedi piccioni
e fate che il vigile urbano indossi lunghi guanti neri.
Lui era il mio Nord,
era il mio sud,
l'oriente e l'occidente,
i miei giorni di lavoro,
i miei giorni di festa.
Era il mezzodì,
la mezzanotte,
la mia musica,
le mie parole.
Credevo che l'amore potesse durare per sempre.
Beh, era un'illusione.
Offuscate tutte le stelle
perchè non le vuole più nessuno.
Buttate via la luna,
tirate giù il sole.
Svuotate gli oceani
ed abbattete gli alberi
perchè da questo momento
niente servirà più a niente. W.H. Auden

Cercherò anche una poesia che esprima felicità suprema lo prometto!
Questa era intonata con i giorni presenti, con le foglie che cadono e marciscono
sotto i nostri passi, con la nebbia e l'umidità insinuante dell'autunno.
Auden qui è fortemente drammatico e viscerale pur essendo nato in un paese a nord, molto a nord dell'equatore. Gabriel Garcia Marquez invece come tutti gli animi passionali di fronte alla morte raccoglie le sue parole e con pudore esclama:
......io mi spaventai
al primo silenzio della tua morte
che fu come se il mondo si fosse
risvegliato in fondo al mare.....
Appare strano che due animi appartenenti a due culture così diverse usino gli stessi strumenti ma con un ritmo, un senso, una musicalità agli antipodi. Il sole ed il caldo fa risparmiare le energie di fronte alla morte, non ti puoi permettere il lusso di scalpitare, urlare, rischi la disidratazione del corpo oltre che dell'anima. Mentre al nord il freddo consente di scaldarsi urlando da dentro noi stessi fino ad uscire allo scoperto prendendosela con tutto ciò che ci circonda, sole e luna compresi!
Anni fa dopo aver elaborato un lutto tra le pagine di un quaderno scrissi:
" Ho riscoperto il profumo del pane.
Un vecchio mulino macinava,
Un forno a legna cuoceva
E la mia mano compiva un gesto antico;
Divideva un pezzo di pane." Aithne
Si perde ogni interesse perfino per i piccoli gesti quotidiani quando hai l'anima ferita a morte, nulla ti sfiora neppure il profumo del pane appena sfornato. Ritrovare quel gusto, quegli odori, significava per me essere tornata a vivere. Ancora oggi mi fermo davanti ad una panettieria al mattino presto per sentire il profumo uscire da quelle mura, da quella vetrina, poi passo oltre sorridendo a me stessa.

sabato 16 ottobre 2010

poesia


Morte, non essere troppo orgogliosa,

se anche qualcuno ti chiama terribile e possente

tu non lo sei affatto

perchè quelli che pensi di travolgere

in realtà non muoiono, povera morte,

ne puoi uccidere ma,

se dal riposo e dal sonno

che sono tue immagini

deriva molto piacere,

molto più dovrebbe derivarne da te,

con cui proprio i nostri migliori

se ne vanno, per primi,

tu che riposi le loro ossa e ne liberi l'anima.

Schiava del caso e del destino di re e disperati,

tu che dimori con guerra e con veleno,

con ogni infermità,

l'oppio e l'incanto ci fanno dormire ugualmente

e molto meglio del colpo che ci sferri.

Perchè tanta superbia?

Perchè tanta superbia?

Trascorso un breve sonno,

eternamente, resteremo svegli,

e la morte non sarà più.

Sarai Tu a morire. John Donne.

Il pomeriggio


CHICCHI NERI di Sarah Kirsch

Il pomeriggio prendo un libro in mano
Il pomeriggio metto via un libro
Il pomeriggio ricordo che c'è guerra
Il pomeriggio dimentico ogni guerra
Il pomeriggio macino il caffè
Il pomeriggio ricompongo il caffè macinato
a ritroso
bei chicchi neri
Il pomeriggio mi svesto
mi vesto
prima mi trucco
poi mi lavo
canto
sto muta.

Ci sono poesie che non hanno bisogno di essere commentate. Eccone una!

mercoledì 13 ottobre 2010

Nebbia e ombre


Dove vivo entro le ore 10.00 circa del mattino se il sole non riesce a fendere la coltre spessa di nebbia che avvolge ogni persona, ogni palazzo, facendo trasudare la strada su cui cammino, non c'è speranza che in giornata si possa godere del tepore autunnale. Mi hanno insegnato a credere che casa sia ovunque siamo noi e per noi intendo una coppia, una famiglia, o un essere che si senta parte del mondo che lo circonda. Mi sento immersa come una pianta acquatica con le radici che galleggiano. Oggi il tempo e la gente che mi scivola via accanto pensando, camminando, correndo, urtando, sono una nebbiolina insinuante ed umida, gocciolante, priva di vitalità. Il paese dalle ombre corte dovrei chiamarlo questo pezzo di mondo. Ombre perchè i pensieri sono inespressi e quasi ciechi, riescono a scorgere piccole luci senza venir attratti da esse e, corte perchè sembrano ombre che scappano dalla loro fonte come imprigionate dalla paura. Perfino i gatti ed i cani hanno il pelo come se fossero usciti da una pozzanghera, sporco e bagnato. A parte queste spiacevoli sensazioni osservo i pensionati quando torno dal lavoro presso le panchine del ponte coperto. Osservano le persone che ancora lavorano, ascoltano e commentano di sport e di politica abbassando la voce quando devono fare i pettegoli. Sanno tutto di tutti e con eleganza si intromettone nelle vite altrui da osservatori non invitati ne pagati, dei giornalisti in erba che potrebbero informarci perfino sul nostro gruppo sanguigno fosse necessario. I vecchi non vengono isolati dalla società, peggio, vengono abbandonati come i cani ed i gatti in agosto sulle autostrade. Loro si riciclano come possono ma la solitudine descrive i loro movimenti, il tono della voce e segna l'andatura. Si può essere soli anche in gruppo anzi in quel caso ci si estrania ancora di più. Certi argomenti come i lavori stradali presso casa, il tempo, allontanano più che avvicinare per la loro superficialità:
" DISSEMINATI IN DISPERSE CITTA',
FOLLA DI SOLITARI,
FINGEVAMO CHE OGNUNO FOSSE ADAMO
CHE DIEDE NOME ALLE COSE.
PER I VASTI DECLIVI DELLA NOTTE
COSTEGGIANTI L'AURORA,
CERCAMMO, LO RICORDO, LE PAROLE
DI LUNA, MORTE, MATTINO
E DELLE ALTRE USANZE UMANE......
Borges come sempre sa descrivere in pochi versi quello che io non riesco a definire con mille altre parole. Gli affabulatori sono una razza umana speciale che raramente si incontrano e raramente ti dedicano la loro attenzione preferendo le piazze alle stanze, i teatri al palcoscenico della vita! Oppure sono morti e non puoi più partecipare alle loro conferenze o simposi.

giovedì 7 ottobre 2010

Luci ed ombre


Ho scoperto un passo da un'opera di Jorge Luis Borges, - Elogio dell'ombra - che vorrei condividere in questo post con coloro che amano la poesia, quella vera e non scimmiottata, che ammirano gli uomini abili a modellare le parole ed i pensieri come creta, capaci di creare idee e con la dialettica di condividerle con i loro simili, in grado di evocare la fatica del vivere con la leggerezza della sintassi: J.L. Borges appunto!
....Per opera di un incantesimo
nacqui stranamente da un ventre.
Vissi stregato, prigioniero di un corpo
e di un'umile anima.
Conobbi la memoria,
moneta che non è mai la medesima.
Il timore conobbi e la speranza,
questi due volti del dubbio futuro.
Ed appresi la veglia, il sonno, i sogni,
l'ignoranza, la carne,
i tardi labirinti della mente,
l'amicizia degli uomini,
la misteriosa devozione dei cani.
Fui amato, compreso, esaltato e sospeso a una croce.....
Gli occhi Miei videro quel che ignoravano:
la notte e le sue stelle.
Conobbi ciò ch'è terso, ciò ch'è arido, quanto è dispari o scabro,
il sapore del miele e della mela
e l'acqua nella gola della sete....
la voce umana, il suono di passi sopra l'erba.....
l'alto gridio degli uccelli.
Ho conosciuto pure l'amarezza....
Domani sarò tigre fra le tigri
e dirò la Mia legge nella selva,
o un grande albero in Asia......
- In un giorno dell'uomo stanno i giorni del tempo -
In un secondo post affronterò la poesia "l'Elogio dell'ombra" perchè merita una nicchia tutta sua, tale è la preziosità dei pensieri espressi. Già questi non scherzano per contenuti e profondità. Ognuno di noi può interpretare questi versi seguendo il filo delle proprie emozioni e delle proprie esperienze. Ogni pensiero può farlo suo oppure inserirlo nel quadro della sua memoria in attesa di decifrarlo del tutto. Mi ha colpito la frase: - Gli occhi Miei videro quel che ignoravano.....Vero, ognuno di noi improvvisamente scopre di avere davanti agli occhi ciò che cercava o che non vedeva perchè macroscopicamente invadeva il campo visivo della nostra mente. Spesso scorgiamo i dettagli ed il quadro d'insieme ci sfugge. Così è accaduto a me in questi ultimi anni ed il cielo terso, oppure le stelle non sono altro che le verità che illuminano improvvisamente le nostre vite. Lasciano senza fiato è vero ma vale la pena di scorgerle e farle nostre per apprezzare nuovamente quegli spazi infiniti che dimorano dentro le nostre anime e che spesso non liberiamo per paura di essere, di ridicolizzare il nostro "Io" smisurato e permaloso, refrattario alle rughe, ai segni del tempo, privo di ironia ed in poche parole ingessato, immobile, una statua di cera ricoperta di polvere. Così ero io fino all'anno scorso e riaccendere connessioni neuronali anchilosate ed arrugginite costa fatica e dolore ma se si vuole sopravvivere a sè stessi questo dobbiamo fare: spostare le nostre ombre verso un cielo, una luce, verso un presente che le definisca con precisione prima che superino i confini della nostra anima, inghiottendo nel buio ogni nostra risorsa vitale. Le parole: quale magia per la mente umana tradurre attraverso quei segni, quei suoni, l'intero universo sparso fra le cellule di ogni specie e genere. Noi uomini siamo diventati quello che siamo, nel bene e nel male, grazie alle parole ed al loro suono, alla scrittura ed alla memoria. Ciò che di meglio l'uomo ha fatto dell'uomo si trova in quei piccoli segni, incisi sulla cera, vestiti d'inchiostro, dipinti su pietra, disegnati su pelle di capra e colorati con le terre ed i minerali, e Borges li usa per tradurre e rendere il suo pensiero diverso da quello degli animali, uomini compresi. Grazie Borges ed a tutti i poeti come lui, di ogni tempo e luogo, noi siamo degli esseri pensanti e non solo esistiamo, soddisfando i bisogni primari. Le parole accarezzano le nostre anime, le scaldano e le illuminano senza privarle della libertà di mostrarsi per quello che sono. Anche la musica può tradurre tutto ciò mirabilmente, penso a Mozart che parlava con i suoni descrivendo ogni aspetto della vita degli uomini. Mi fermo, voglio continuare a leggere e digerire il resto del libro senza far indigestione e senza nauseare un ipotetico lettore. Vorrei tanto che questo testo si leggesse anche a scuola, i bambini possiedono il raro dono di comprendere senza pregiudizi ne costruzioni mentali aberranti. Non sono ancora adulti e non ci sono mura difensive nelle loro menti. Buona lettura: il testo è edito da ET Einaudi - titolo, "Elogio dell'ombra"

martedì 5 ottobre 2010

" Porta itineri longissima est "


In qualunque impresa è soprattutto difficile il principio. Il passo più lungo è quello dell'uscio dicevano i latini ed è verissimo. Questa mattina quando uscirò dalla porta di casa e sopratutto quando rientrerò sarò diversa? Spesso si affrontano i cambiamenti senza accorgersi e si rimane se stessi in superficie mentre i cambiamenti veri e propri avvengono nel nocciolo del nostro essere. Come un terremoto può essere la conseguenza di tante piccole scosse e non sempre di una sola deflagrazione, così l'animo umano affronta gli effetti di un'onda lunga di fatti concatenati fra loro aventi il loro inizio così lontano da non potersi definire nel tempo e nello spazio. Ho sempre considerato utile dare importanza alle cose che in apparenza ci sembrano trascurabili perchè spesso ci danno le risposte che cercavamo dalla vita. Oggi ne avrò la prova. Concludo con un verso di una canzone medioevale cantata dai trovatori provenzali che dice:
L'amore è raro e sempre effimero
Fra il cielo e l'inferno
fra il vento e il mare
devi nutrirlo
e proteggerlo
altrimenti il male lo ucciderà. Anonimo.