Scende la sera, immobili sono i prati. Il gorgogliare del ruscello assetato silente tutto il giorno si leva di nuovo. Abbandonata è la quasi falciata pianura, silenziose le stoppie..........E lontano sul puro orizzonte vedi pulsante per la prima stella il liquido cielo sopra la collina.

venerdì 20 agosto 2010

Il dolore degli altri

IL DOLORE DEGLI ALTRI di Pablo Neruda.
Accanto a me c'era un'ombra nera e alta che parlava e parlava. Parlava di una tristezza amara e indefinita che scavava la quiete della sua esistenza. Cercava di farmi capire che non c'è solo l'angoscia dell'uomo che non ha nulla; lui aveva tutto. Eppure qualcosa faceva franare insensibilmente la sua vitalità.
Però io comprendevo quella che era compensazione naturale. Sono tanti gli uomini che non hanno nulla e che soffrono trapanati dal desiderio e dal bisogno che questo eccedente, questo peso negativo del dolore della miseria umana, si scarica sugli altri che non dovrebbero soffrire. E' la legge inevitabile, l'equilibrio della natura che pesa come un giogo sugli uomini e fa sì che cerchino una nuova giustizia che annulli il sentimento di dolore comune a molti e purifichi la felicità degli altri, fondendoli, uguagliandoli nell'armonico ritmo della vita.
ancora......di P.Neruda
PIETRE DI RITORNO: ho lanciato verso la notte infinita tre pietre erranti, accusate dalla mia ansia, indurite ed aguzzate dalla mia inquietudine inesauribile. Le ho preparate nei pomeriggi di tempesta: il vento scuoteva la mia casa solitaria, i tuoni rimbombavano e cadevano le acque dal cielo inesauribile. Le ho lanciate con la mia febbre di sapere tre enigmi, tre oscuri segreti, tre furti della notte. Tardi, disteso nella mia casa solitaria, davanti alla finestra più alta, ho visto cadere tre pietre erranti, dalla notte infinita.
La poesia di Pablo Neurda si manifesta anche in questi scritti che ognuno di noi può vestire con i propri abiti e, cucirseli addosso a seconda delle proprie esperienze. I veri poeti parlano al cuore del mondo, traducono a tutti gli uomini sentimenti che altrimenti non conoscerebbero il suono delle parole e rimarrebbero sospesi nel vuoto. Aiutano a decriptare la vita degli altri come un messaggio segreto inviato in guerra per ricevere aiuto. La loro vita la declinano al plurale perchè sentono tutto quello che li circonda e, non sono un'isola nell'oceano ma terra arata e seminata dall'esistenza e dal divenire di ognuno di noi. Ecco uno dei motivi per cui amo la poesia di ogni luogo e tempo, rende più facile la comprensione dell'ignoto e della realtà quando diventano pesanti come macigni, rende più lieve un nuovo giorno e, sfumano come nella scena di un film già visto i giorni passati. Giorni incorniciati in emozioni, tollerati dal cuore, compresi dall'anima, registrati fedelmente dalla mente.
Chiudo con un verso che adoro ripetermi:
"Piedi,
quante strade nella lontananza,
quanta allegria
da vincere!"

mercoledì 18 agosto 2010

Strano come una finzione

Dal film "Vero come una finzione": - Quando dette un morso al bavarese allo zenzero Harold ebbe finalmente l'impressione che tutto sarebbe finito per il meglio. Qualche volta quando ci ritroviamo persi tra paura e sconforto, tra routine e perseveranza, tra disperazione e tragedia, dobbiamo ringraziare Dio per l'invenzione del bavarese allo zenzero, e per fortuna anche in mancanza di biscotti possiamo sentirci rassicurati dal tocco di una mano amica o da un gesto gentile ed affettuoso, o da un discreto incoraggiamento a prendersi cura di sè, o da un caldo abbraccio, o da un'offerta di conforto, per non parlare di barelle d'ospedale, tappi per il naso in piscina, o dolci danesi avanzati, segretti detti sottovoce, una telefonata dall'aeroporto........e magari un occasionale racconto. E dobbiamo ricordare che tutte queste cose, le sfumature, le anomalie, le sottigliezze che riteniamo marginali nella nostra vita quotidiana esistono, invece, per un motivo molto più alto e nobile. Sono qui per salvarci la vita. So che l'idea può sembrare strana ma sono sicura che guarda caso è anche vera. E così avvenne che fu un orologio da polso che salvò la vita di Harold C." Dalla voce della doppiatrice di Emma Thompson a noi. STRANGER THAN FICTION è il titolo originale: Strano come una finzione e non vero come una finzione. Gli italiano amano stravolgere il senso dato ad un titolo di film o romanzi come pochi altri nel mondo. Strano e vero sono due termini completamente diversi e danno al film un significato diametralmente opposto. Vero è che le piccole cose, i piccoli gesti quotidiani, una parola, un tono di voce, un dono inaspettato, un abbraccio, un dettaglio per i più insignificante fanno la differenza nella nostra vita. Poco fa ho ricevuto la telefonata da mia figlia ed il telefono tanto insopporttabile sul lavoro oggi è maledettamente magico e meraviglioso. Meucci e Bell inventandolo mi hanno reso felice, la fatica del vivere degli ultimi mesi è stata cancellata da quel saluto, dalla certezza che lei è ritornata qui fra noi ad illuminare ogni istante della sua e della nostra esistenza. Sto cucinando un arrosto e preparando un dolce, scrivendo e leggendo, ascoltando musica e guardando fuori dalla finestra. Niente di ciò che sto facendo sembra importante e vitale ma il senso di tutte queste azioni è arricchito dalla consapevolezza che chi amo veramente sta tornando a casa. Tutto assume un colore ed un'atmosfera diversa e la luce sconfigge ogni recriminazione, pensieri tristi, gesti faticosi, la pesantezza di un collo indolenzito a furia di guardare indietro. Strano come una finzione, strano come la realtà che spesso supera ogni aspettativa, ogni fantasia, apparendo irreale, quasi finta. Abituata a non colorare neppure i pensieri, a scorgere solo ombre e non ciò che sta al di fuori dei loro contorni, un improvviso, felice cambiamento riempe di luce anche gli spazi più oscuri dell'anima. Richiudere la porta in faccia a quella luce è più difficile questa sera. Non è aspettando qualcosa di meglio che si ritorna a vivere, piuttosto desiderare ciò che già si possiede e goderne a pieno questo sì fa la differenza. Buona serata a tutti!

mercoledì 11 agosto 2010

Eclisse

Undici anni fa un'eclisse di sole aveva trasformato la luce del giorno, nel luogo dove vivevo, simile ad una luce al neon. A mezzogiorno le pietre del selciato, i muri delle case, la pelle delle braccia e delle mani, avevano assunto una luminosità irreale, metallica e diafana allo stesso tempo. L'intensità della luce del sole era calata ma nell'emisfero nord in cui mi trovavo, latitudine 46°, questa stella così importante per il genere umano ed il nostro pianeta, non era completamente oscurata dalla luna. Uno spicchio dell'astro, come di un grosso limone bitorzoluto, rimaneva libero e, solo in altri luoghi del pianeta si sarebbe verificata la totale assenza della sua luce. Pur con questo vantaggio il mondo circostante era sospeso, in silenzio, in una realtà innaturale, come se fossi l'unica a camminare per strada. Ricordo il tono sfumato della luce, il rimbombo dei miei passi e quello dei suoni intorno a me, gli sguardi che si lanciavano dal basso verso l'altro le persone che camminavano per le vie di quella piccola città di montagna. Ero in attesa di mia figlia ed il giorno dopo mi sarei sposata, ero felice e calma. Quell'attimo di irreale sospensione tra la luce ed il buio corrispondeva benissimo allo stato emotivo in cui mi trovavo in quei giorni. La luce era la mia gravidanza, il buio quel salto che stavo per compiere nella mia vita di coppia, ricolma di coraggio e senso dell'avventura ma certa che qualcosa poteva guastarsi, rompersi, danneggiarsi, se l'impegno non fosse stato condiviso e gli sforzi unanimi. Con il senno di poi è facile pensare che sentivo nell'inizio l'odore della fine, tuttavia ero così entusiasta di percorrere nuove strade insieme all'uomo che amavo, il mio ventre era colmo di vita e, la mia anima sembrava quello spicchio di limone ancora così luminoso da permettere al mio corpo ed al mio spirito di continuare a muoversi senza paura. Non dimenticherò mai quel momento, a mezzogiorno i rintocchi della campana, gli odori, le voci, i gesti, quella luce irreale, i suoni attutiti e metallici, la calma e completa felicità che si manifestava attraverso i miei passi, il colore del fogliame di un albero che aveva smesso di muoversi perchè perfino la brezza era rimasta in attesa della fine dell'eclisse. Accarezzai il mio ventre camminando e tornai a casa per pranzo. Poche ore fa ho provato invece cosa significa sentirsi strappare la carne di dosso, sto scrivendo per controllare il dolore, permettergli di fuoriuscire dalle maglie della sua prigione senza trasformarsi in un fiume in piena. E' ancora buio, l'alba si sta avvicinando, ho la luce accesa in casa, fuori il mondo sta ancora dormendo e chi può sogna. Io attendo, una telefonata, lo scorrere del tempo, la forza che è in me e fatica ad uscire per inondarmi della sua luce. Accarezzo una fotografia, una maglietta mi rimanda il calore della mia bambina ed aspetto il suo ritorno prima ancora che sia veramente partita. Vorrei vedere attraverso i suoi occhi, essere testimone delle sue scoperte, ascoltare l'entusiasmo uscire dalla sua bocca con quelle risate e con quell'ammutolire tipico dei bambini quando il mondo li sorprende. A loro basta poco per essere felici e, per chi ne ha la possibilità ed il privilegio, assistere al divenire della loro esistenza attraverso piccoli fatti quotidiani è un miracolo che la vita ti dona senza riserve. Rinunciare a questo miracolo quotidiano per i prossimi sette giorni senza un valido motivo, obbligata a separare le esperienze un tempo comuni per la mia famiglia, questa sì che è una vera eclisse! La luce della mia anima per un po' di tempo sarà affievolita, metallica, pallida e priva di quella magia che la felicità e l'amore donano anche alle stanze più buie del nostro spirito. La luce dell'alba sta penetrando attraverso le persiane, devo prepararmi per andare al lavoro, scendere dai gatti a sistemare la loro "tana", riprendere il quotidiano ritmo della vita. Nessuno pensi di aver raggiunto il massimo del proprio limite quando prova un dolore fisico o psichico: anche per i comuni mortali come per gli sportivi i record vanno aggiornati di anno in anno. A presto L., divertiti e ricorda che il mio amore viaggia sempre con te: ovunque tu sia, io ci sarò sempre!

domenica 8 agosto 2010

Vecchi eternamente giovani

Venerdì scorso finito di lavorare non volevo più tornare a casa. Mi sono seduta sulla solita panchina di pietra e cemento con schienale situata presso il fiume Ticino vicino al Ponte Vecchio della mia città. Di lì a poco sono arrivati: un uomo in bermuda sui 55 anni che più serio dei suoi occhiali si è seduto a leggere un manuale di chimica: Sono rimasta pietrificata da quella lettura: era la mia materia di studio a scuola e per lavoro ho dovuto continuare a studiarla ma avrei compreso meglio l'inferno, se si potesse tradurre in elemento chimico, piuttosto che il permanganato di potassio ed il suo uso. Ricordo ancora con ammirazione ed orrore la tavola degli elementi. Se ne è andato quasi subito e fortunatamente si sono seduti vicino a me, poco dopo, una coppia di anziani sui 65-70 anni. Mi sono spostata per fargli posto e mi hanno ringraziato. Allibita li ho visti tirar fuori due cellulari. Lui insegnava a lei ad usarlo. Sembrava molto pratico e si spazientiva per la lentezza e la mancanza di duttilità nell'apprendere della moglie. Lei pacata non si scomponeva e sembrava voler fargli piacere, senza provare alcun interesse, cercando di usarlo al meglio. Suoneria, messaggi da eliminare, rubrica telefonica. Poi sempre lui, un chiaccherone inguaribile, ha cominciato a parlare di figli, amici, parenti e lei rispondeva a bassa voce con dolcezza. Vestiti in modo dimesso ma dignitoso erano di origine siciliana e nella conversazione lui colorava con espressioni tipiche del suo dialetto ogni esclamazione. Quando una piccola campana ,situata in una cappella all'interno della struttura del ponte, ha suonato per prima le ore 19.00 sono scattati in piedi per dirigersi verso casa a cenare, e lei con la stessa dolcezza usata fino a quel momento con il marito mi ha salutato. E' un vero piacere vedere che ci sono coppie che resistono al tempo ed all'usura, che si conoscono così bene da sorridere delle manie e dei limiti del proprio compagno/a. Hanno ancora tanto da dirsi, lui fa il moderno e tenta di contagiare anche lei con la mania dei cellulari. Lei paziente si gode il fiume e l'aria fresca della sera. E' felice di passeggiare ed aspettare l'ora della cena seduta su una panchina. Il tempo le appartiene e se lo gode senza farne scempio. Qualcuno c'è che resiste, si applica, condivide e partecipa ad un'unione consacrata o meno davanti a Dio. Ci sono coppie che invecchiano volentieri insieme, hanno attraversato un mare di cambiamenti indenni. Hanno vinto la loro scommessa con il cielo e con la terra ed ora si godono i frutti di quell'impegno, con più leggerezza e meno doveri da adempiere. I figli sono cresciuti è possono tornare a fare la vita di coppia precedente al matrimonio ed alle gravidanze. Come due fidanzati quei due anziani mi hanno scaldato il cuore. Non li dimenticherò facilmente: se ne sono andati via mano nella mano e neppure gli uomini di 40-50 anni con le loro compagne si sognano di prendere per mano o sotto braccio quando camminano la donna che sostengono essere la loro dolce metà. C'è chi continua a rispondere al telefonino camminando, chi guarda le vetrine, chi spinge la carozzina come un carretto di patate, chi cammina a 2 metri di distanza o sembra scocciato di essere lì in quel preciso momento. Solo i più giovani o i più vecchi non hanno nulla da perdere e mettono da parte il loro orgoglio e la loro virilità snaturata per stare abbracciati, mano nella mano o semplicemente vicini alla loro compagna, quando camminano. Sapere che ci sono mi riempe il cuore di suprema bontà e so che il nichilismo od il cinismo non hanno vinto la guerra ma solo alcune battaglie. La realtà è sicuramente triste, cruda e povera di magia ma, se per un attimo scopri che per alcuni questo mondo di indifferenza ed egoismo non esiste, se non al di fuori del loro quotidiano affacendarsi, beh, allora chi perde a volte vince anche se per interposta persona. A quei due vecchi chiedo solo una cosa: di continuare ad esistere così come sono, per me è importante che ci siano e che continuino ad amarsi in quel modo. Non è romanticismo melenso il mio ma solo puro e semplice desiderio che quello in cui credo sia almeno da altri condiviso ed assaporato. C'è chi rinuncia a tutto questo per orgoglio, per il desiderio di cambiare vita, per ricevere nuovi stimoli, chi non mai ha capito di che cosa si stia parlando e mai lo saprà, chi si fa schiacciare dalle prime e non ultime difficoltà, chi rinuncia subito senza combattere, chi promette e non mantiene, chi tradisce le aspettative, chi tradisce e basta, chi scappa o si allontana indietreggiando lentamente, chi aspetta senza cercare........Loro no, loro ci sono e sono la prova vivente che è possibile ralizzare tutto quello che un uomo ed una donna cercano l'uno nell'altra, scoprendolo fino ad invecchiare nel corpo ma non nello spirito.

sabato 7 agosto 2010

Persefone e Pinocchio

Ho riletto in questi giorni il ratto di Persefone da parte di Ade avvenuto secondo la mitologia presso Enna in Sicilia, in una prateria solcata dall'acqua. Persefone viene chiamata anche Core ed è rapita mentre sta guardando un narciso, pronta a coglierlo. Lo scrittore che interpreta e descrive il mito, Roberto Calasso, così ha visualizzato il momento del ratto: " Core guardava il guardare,stava per cogliere il fiore e fu allora che venne rappita dall'invisibile verso l'invisibile." Core non significa soltanto -fanciulla- ma -pupilla-. E la pupilla come disse Socrate è la parte più eccellente dell'occhio perchè non solo è quella che vede ma perchè è quella dove chi guarda incontra,nell'occhio dell'altro, il simulacro di chi guarda." Quindi la massima di Socrate "Conosci te stesso" può essere tradotta in "Guarda te stesso" e la pupilla diventa il tramite unico della conoscenza di sè. Persefone vide se stessa negli occhi di Ade,incontrò l'invisibile, la morte. Due riflessioni: guardare negli occhi la morte non è quindi solo un modo di dire ed io come infermiera ho avuto spesso questo incontro. Vero è che non osservi solo l'altro in quel momento ma scorgi pure la tua coscienza che incontra la fine della vita e si misura con essa. Hai una relazione profonda sia con il corpo e la mente dell'altro che stai assistendo ed accompagnando, stringendogli la mano od accarezzando la sua fronte in un gesto di pietà, che con te stessa. Scopri se hai paura, cosa provi di fronte a quell'ultimo viaggio in questa vita e, la tua anima compie al contrario una strada che prima o poi dovrai percorrere con i tuoi piedi e non con quelli di qualcun'altro. I tuoi occhi, la tua pupilla, la tua mente scoprono l'invisibile nome poetico dato ad Ade ed alla morte. Seconda riflessione ,meno lugubre, è che gli occhi oggigiorno vengono iperstimolati e sollecitati per sedurre un consumatore potenziale, per leggere e scrivere tramite computer più velocemente quasi avessero paura che ci fermiamo a pensare. Il guardare è finalizzato allo scegliere, cambiare corpo per guardarsi più volentieri, ma lo sguardo rimane in superficie e non va oltre il nostro corpo. Hai notato Ornella che da un viaggio si torna con delle fotografie meravigliose che sostituiscono le nostre vecchie descrizioni. Sappiamo cosa abbiamo visto ma non quello che abbiamo provato nel vederlo. L'occhio è defraudato della sua profondità ed eccellenza: l'anima e la coscienza che le dona il proprio alfabeto. I quotidiani stanno per scomparire perchè le notizie si leggeranno in diretta su Internet, i libri avranno vita più lunga ma il loro destino sembra segnato come la carta stampata. I diari sono informatizzati, digitalizzati ed anch'io ne tengo due, uno cartaceo e l'altro in una pagina del computer. Il tempo ci viene rubato facendocelo percepire più contratto, di breve durata, come un bene di consumo da non sprecare. L'ozio è un peccato mortale, restare seduta ad osservare e sentire il mondo intorno a te su una panchina come ho fatto ieri pomeriggio è uno spreco di risorse. Questto mi rattrista: stiamo perdendo i nostri ritmi e quelli della natura a favore di un vivere ad una velocità che pare farci guadagnare tempo ed opportunità ma invece snatura la nostra percezione del reale e, non ci consente di approfondire quello che siamo e sentiamo.Il ratto di Persefone mi è sembrato simile al rapimento della nostra vita a favore dell'ideale virtuale che possiamo ricreare sul computer per vivere meglio o diversamente una realtà che ci sta troppo stretta. Simulare è diventata un'azione paragonabile al vivere, sostituisce la vita stessa e la snatura cambiandone i connotati. Non è più una metamorfosi quella che affrontiamo ma un travestimento come per gli attori di un'opera teatrale con maschere, trucchi abiti meravigliosi che alla fine gli artisti si tolgono usciti di scena. Noi, invece, continuiamo ad indossare quegli abiti come una seconda pelle perchè pensiamo che la vita vera abiti tra quelle quinte e non scendiamo più dal palco. In cosa ci vogliono trasformare? In pupi? Solo Pinocchio è riuscito a scappare da Mangiafuoco ed aveva la Fata Turchina come alleata.

giovedì 5 agosto 2010

Iran: istruzioni per dimenticare

Ho appena letto che in Iran hanno pubblicato dei fumetti in cui si sostiene la teoria negazionista dell'olocausto. I campi di concentramento sarebbero un'invenzione della razza e cultura ebraica. Gli Ebrei sono esseri umani appartenenti allo stesso genere di quei mistificatori e la loro cultura ha permeato l'Europa intera e tutti quei luoghi dove la loro diaspora li ha portati a vivere nel corso dei secoli. Hanno dato e raccolto stimoli in tutti i campi del sapere, un do ut des raramente messo in pratica da altre civiltà. La cultura ebraica, greca e latina sono il basamento su cui si è innestata la cultura europea che è arrivata fino a noi oggi debitrice di queste tre splendide civiltà oltre che di mille altre influenze,(araba,etrusca,assiro-babilonese,sumerica,.......) mai sazia, mai del tutto soddisfatta e, sempre pronta a recepire e trasformare il meglio di tutte le altre culture per progredire. Ecco perchè studiando la storia dell'Europa quando troviamo genocidi, olocausti, persecuzioni politiche e religiose esplose in guerre e, studiamo come un controcanto le affinità elettive tra le varie contaminazioni culturali, ringraziamo il cielo che i milioni di morti e di perseguitati abbiano lasciato scritti, opere d'arte, manufatti,documenti, testimonianze orali, fotografie, canzoni e poesie, musica e perfino un semplice appunto in una lettera, l'ultima, inviata da David Berger nel 1941 da Vilna prima di essere deportato.
Queste poche parole vorrei leggessero i creatori di quel fumetto ed accompagnerei di persona quelle persone per guidarli nella visita dello Yad Vashem, museo di Gerusalemme, al suo Central Database of Shoah Victims' Names.
".....I SHOULD LIKE SOMEONE TO REMEMBER THAT THERE ONCE LIVED A PERSON NAMED DAVID BERGER". TRADUZIONE: "Mi piacerebbe che qualcuno ricordasse che una volta visse in quei luoghi una persona che si chiamava David Berger". Cercate i volti di Mara Coblic, di Valentina Zbar, di Eta Halberstam, di Gabor Neumann, di Marina Smargonki, di Edith Frank, di Elly Weisz, di Sara Livshitz, di Renee Albersheim, il sorriso di Gregory Shehtman, di Maryla Albin, le famiglie, i vecchi, gli sposi, i giovani........strappati alla loro terra, ai loro cari, alle loro vite perchè ebrei e guardate i loro occhi prima di ripetere che non sono mai esistiti, prima di disegnare quei fumetti infami ed infangare, uccidere di nuovo tutte quelle persone innocenti. Non dimenticatevi dei Rom, dei perseguitati politici, dei malati di mente, di tutti coloro che rientravano nell'eccidio programmato a tavolino da una cultura, una razza che per decenni non è riuscita a dimenticare le proprie responsabilità e che ancora oggi si chiede come sia stato possibile arrivare a tanto. Leggo le poesie tedesche di ogni secolo, ascolto la musica di Bach e di tanti altri autori, rimango annichilita che un popolo che ha dato così tanto in tutto lo scibile umano, nella scienza come nell'arte, nella filosofia e nella musica, abbia rinunciato ad essere umano per far prevalere l'istinto più bestiale e, non vorrei offendere il mondo animale con quell'aggettivo. Rileggo, studio, ascolto le voci dei testimoni ancora vivi e non dimentico. Non sono ebrea ma come disse Giovanni Paolo II:" mi rivolgo ai nostri fratelli maggiori e chiedo perdono per quello che è stato loro fatto, per quei cristiani che hanno voltato la faccia fingendo di non vedere, non sentire." Chi meglio di lui in Polonia aveva visto e toccato con mano le persecuzioni ebraiche, amici spariti dall'oggi al domani...." La sua visita alla sinagoga di Roma mi commosse e da cristiana fui orgogliosa del suo gesto, delle sue parole. Come oggi sono inorridita di fronte all'ennesimo attacco. L'antisemitismo non è morto ne in Europa ne nel resto del mondo. Come il fuoco appena incontra l'ossigeno dell'intolleranza riprende a bruciare, distrugge ciò che di meglio l'uomo ha fatto dell'uomo: la sua pietà, sete di conoscenza, la sua curiosità ed amore per il nuovo, il desiderio di avventurarsi in paesi e conoscere popoli e culture per arricchire la sua umanità, la sua esperienza, per scambiarsi conoscenze e migliorare la propria vita. A David Berger dico idealmente: " Ti ricorderò sempre!". A chi mi leggerà chiedo di approfondire l'argomento, di non dimenticare!