Scende la sera, immobili sono i prati. Il gorgogliare del ruscello assetato silente tutto il giorno si leva di nuovo. Abbandonata è la quasi falciata pianura, silenziose le stoppie..........E lontano sul puro orizzonte vedi pulsante per la prima stella il liquido cielo sopra la collina.

martedì 16 novembre 2010

Turista dell'oscuro






Ho scoperto di essere una turista dell'oscuro definizione data a coloro che gradiscono visitare cimiteri non per studi di anatomia illegali come avveniva nei secoli passati ma, per osservare come gli uomini hanno interpretato nel corso del tempo uno dei passaggi obbligati per tutti gli esseri umani: la morte. Parola che racchiude in sè accezioni tragico-romantiche, biologiche-scientifiche, poetiche-letterarie, pittorico-fotografiche, cinematografiche-letterarie, filosofico-religiose.....non c'è branca del sapere umano che non si sia occupato di questo aspetto della nostra vita. Gli unici che paiono voler negare la sua esistenza sono certi medici o pseudo-tali che con l'accanimento terapeutico inducono a pensare che siano terrorizzati da questo evento. Impauriti a tal punto da voler tenere in vita dei cadaveri per non cedere alla morte il primato sulla loro scienza che della salute dovrebbe occuparsi e non della conservazione di un corpo privo di vita grazie a macchinari e farmaci. Non amo neppure quelli che applicherebbero l'eutanasia ad ogni caso disperato ma sicuramente la scelta di vivere in modo dignitoso spetta all'individuo che questa vita l'ha vissuta e non certo per conto terzi. E' come sentirsi degli emeriti cretini per procura il massimo della beffa, idem vivere perchè qualcuno non accetta che il tuo corpo sia arrivato alla fine del percorso e dica di una ragazza in coma da 17 anni che può ancora procreare, il massimo della follia e dell'offesa per chi ha assistito a quell'agonia giorno dopo giorno e per chi l'ha vissuta incapace di poter gridare: " Ma cosa state facendo, cosa state dicendo!" - Si sfrutta quel silenzio per parlare in sua vece e pontificare in modo altrettando violento. Sì la violenza della paura di fronte ad un evento per certi versi doloroso, disarticolato come certi manichini, improvviso e stupefacente nella dinamica, oppure lento e tortuoso, mai uguale come le impronte digitali, a volte spontaneo come il sorriso dei bambini, innocente come la morte nel proprio letto durante il sonno, rapace come la morte per malattia di un giovane essere che dovrebbe avere la possibilità di vivere più a lungo, di assaggiare i giorni come un buon bicchiere di vino, lentamente. C'è perfino chi definisce la morte dolce ma quando lo fa non si rende conto di quanti si sentano offesi da tale definizione. I parenti di chi muore in un incidente, di chi muore in un campo di concentramento, di chi viene colpito da un proiettile vagante o da un pirata della strada ubriaco, i parenti di un bambino di pochi mesi che non ha conosciuto se non interventi o sondini o il dolore di aghi e farmaci, di medicazioni ed esami esplorativi, di mascherine dell'ossigeno simili a mani pronte a soffocarlo e non a farlo respirare. Bambini che ricevono carezze attraverso guanti, che non vedono il sorriso o la disperazione di chi li ama perchè una mascherina protegge l'ambiente dai microrganismi killer per quelle giovani vite tanto tormentate. La morte è come la viviamo, unica e ricolma di aggettivi, di rappresentazioni grafiche e musicali. Ascoltate il Requiem di Mozart e scoprirete le più alte vette della genialità e della sensibilità musicale di ogni tempo al pari con le Quattro stagioni di Vivaldi, suo alter ego proprio per la vita che descrive in contrapposizione alla tanto vituperata morte. Ognuno a seconda dei propri gusti ama darne un'interpretazione gotica o romantica, scabra e minimalista, poetica e floreale, oppure semplicemente non ama parlarne ne leggere nulla sull'argomento. Io adoro visitare i cimiteri monumentali oppure quelli più poveri e semplici di montagna. Ho visitato quello di Parigi, al Père Lachaise e ne sono rimasta affascinata oltre ogni aspettativa. Mi riprometto di visitare quello di Staglieno a Genova, un museo a cielo aperto, poi quello di Londra di Highgate che sembra disegnato da Tim Burton autore di film surreali e poetici come Edward Mani di Forbice o Wonderland, rivisitazione di Alice nel paese delle Meraviglie. Il cimitero ebraico di Praga poi deve essere incredibile con i suoi strati sovrapposti di lapidi che formano un paesaggio unico al mondo. I turisti dell'oscuro non hanno il gusto dell'orrido, anzi, sono i più fedeli sostenitori della vita che scorre nelle loro vene ma, proprio per questo sanno che la morte fa parte della vita e non va ne bandita ne insultata, soprattutto con i fatti e con le parole. Ho avuto in casa persone che si sono fatte riempire di chemioterapia per vivere ancora due anni con i propri cari, che avrebbero scalato l'Everest per avere un giorno in più da trascorrere su questo pianeta. Ho visto fare altrettanto da malati di A.I.D.S. e da persone anziane che strisciavano per poter ancora camminare lungo i sentieri delle loro vite ormai sfinite biologicamente e strenuamente attaccate a quelle ultime forze che restavano loro. Ho visto occhi supplicare di essere lasciati in pace a morire nel proprio letto, altri supplicare di avere una dose in più di morfina per sentire meno dolore. Fortunatamente non ho mai lavorato con medici che si sentivano Dio e si arrogavano il diritto di usare la carne altrui per combattere la loro personale battaglia contro la mortalità umana, nessuno che sentiva così vicina all'immortalità la propria visione del mondo e della scienza da tentare di tenere in vita un cadavere, pietosi nel non illudere i parenti e delicati nel fornire un quadro realistico ed umanamente accettabile di ciò che stava accadendo ai loro pazienti. Nessuno o quasi ha esacerbato il dolore di chi stava per andarsene e di chi restava. Ho in mente il dolore di un padre, alto un metro e novanta circa che una notte davanti al letto della propria figlia trentenne, parlava con lei in coma da settimane, chiedendo perdono per non essere stato presente come avrebbe dovuto o desiderato. Quel gigante era spezzato nel cuore e nell'anima e sembrava essere sul punto di rompersi in due appoggiato a quel letto. Ho preparato un caffè e l'ho supplicato di berlo, ho pregato che non morisse anche lui dal dolore. L'ho visto allontanarsi, solo, perchè la moglie, separati da anni, si rifiutava di condividere quel momento con lui quasi a volerlo punire imputandogli un' assenza come fosse la causa della malattia mortale della figlia. Neppure di fronte alla morte si perdona e l'orgoglio può uccidere due volte un uomo o una donna. Sono rimasta commossa dal gesto sfinito di un avanzo di galera che tentava di aiutarmi ad infilarsi un camice, ormai privo di energia e vicino alla fine dei suoi giorni. Con uno sforzo sovrumano ha alzato le braccia dopo che io ed una mia collega ci eravamo lamentate del suo peso da sollevare per cambiarlo e rivestirlo dignitosamente, sudato e prossimo al disfacimento. Quel gesto mi ha fatto sentire un verme, avrei tanto voluto chiedergli scusa e l'ho fatto accarezzandogli la fronte e riponendo le sue braccia sotto le lenzuola con delicatezza ed amore. E' morto da "solo" ma io c'ero e la sua solitudine ho tentato di spezzarla con la mia presenza, usando delle spugne imbevute d'acqua fresca per farlo sentire meno bollente; la febbre lo stava divorando ed i farmaci non servivano più a nulla, il ghiaccio si fondeva sulla sua fronte ed il sudore procuratogli dai farmaci lo annegava il quel letto, sembrava un pulcino bagnato. La dignità fino alla fine lo ha abitato, lui considerato dalla società un peso, un parente di cui vergognarsi, qualcuno da seppellire, prima di essere deceduto, dall'indifferenza. In quei momenti mi sono sentita utile ed ho compreso il motivo per cui sono diventata infermiera. Mi ribellavo all'idea non della malattia, della morte, della sofferenza, no, ero furiosa all'idea che qualcuno potesse morire spaventato e sporco, affondato nelle sue deiezioni e privo di una mano amica che lo facesse sentire meno solo. Non sono necessarie le parole in quei momenti, ci si parla con gli occhi o con una stretta di mano, una carezza ....I cimiteri non sono altro che la nostra ultima casa ecco perchè ne sono affascinata. Gli Etruschi del resto hanno creato le necropoli più umanamente artistiche e realistiche della storia dell'uomo. Ci sono certe sculture che ti fanno venire i brividi. Marito e moglie adagiati l'uno vicino all'altra come in vita, scene di vita quotidiana che descrivono quali erano le attività preferite dai defunti con una dolcezza da lasciarti senza fiato. Ed i giocattoli trovati vicino ai bambini....altre civiltà hanno tentato di riprodurre il loro senso di inadeguatezza con costruzioni faraoniche appunto, ma gli Etruschi hanno colto nel segno comunicando a chi li ha studiati e riscoperti un senso terreno e placido della fine dei nostri giorni, in tema con il pianeta in cui hanno vissuto, con le stagioni, i cicli naturali, i mestieri, gli affetti coltivati in vita che loro desideravono proseguire anche dopo in un altro tempo e luogo. Ecco alcune fotografie scattate a Parigi, le più colorate e ricche d'amore verso coloro che venivano ricordati con gioia e dolcezza, non solo con dolore e nostalgia. Osservate i colori ed i simboli stampati su quei quadrati che coprono un'ossario, che fanno da cornice ad uno spazio in cui vengono conservate le ceneri, i frammenti di una vita intera. Guardate l'assenza di commenti, la riproduzione di oggetti e simboli che definivano la persona amata e capirete perchè io sono orgogliosa di essere una turista dell'oscuro. In quell'oscurità c'e più luce e colore che in tanti occhi e parole.

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