Scende la sera, immobili sono i prati. Il gorgogliare del ruscello assetato silente tutto il giorno si leva di nuovo. Abbandonata è la quasi falciata pianura, silenziose le stoppie..........E lontano sul puro orizzonte vedi pulsante per la prima stella il liquido cielo sopra la collina.

martedì 2 novembre 2010

Commemorazione dei morti


La fine della guerra la vedono solo i morti. Platone
Chissà cosa intendeva Platone scrivendo e pensando ai morti in guerra, alla guerra, a quello che si trova sul campo di battaglia quando sono cessati gli spari, gli scoppi, la lotta. Platone non ha visitato i campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale, le trincee, i fossati scavati inutilmente per proteggere e trasformati in tombe a cielo aperto. I miei due nonni sono riusciti a sopravvivere entrambi a quell'ecatombe. Un vero miracolo di bravura e fortuna. Uno faceva il furiere, l'altro scalava montagne e superava passi con lo zaino pieno di libri tanto da lasciare sbigottito il suo comandante e meritandosi la licenza sempre a Natale per stima, tenerezza, stupore. Il primo ricordava la fame, le ingiustizie, l'odore della morte, la paura sotto una valanga. L'altro solo l'infamia di non poter avere un paio di scarponi nuovi, una coperta ed un giaciglio per riposare al rientro da una battaglia. Il primo è diventato un nemico acerrimo della guerra ed ha visto morire il suo primo figlio durante la Seconda Guerra Mondiale. Il secondo ha sostenuto il fascismo soprattutto quando tutti scappavano a casa e fingevano di non aver indossato mai una camicia nera. Entrambi hanno pagato cari i loro sogni giovanili, i loro ideali, le loro scelte, ma sono morti nel loro letto circondati dalle persone che amavano, vecchi quanto basta per riposare in pace per l'eternità fosse solo per gentilezza di un Dio che li ha messi alla prova senza pietà. Quanto c'è di vero nel credo di un Dio vendicatore, oppure hanno ragione chi pensa che è puro amore. Come conciliare i morti, le membra straziate, l'anima sconvolta per sempre, la sopravvivenza di se stessi con l'amore di Dio. Eppure entrambi credevano ciecamente chi in Gesù, chi in San Francesco, senza trovare nessuna nota stonata in ciò che avevano vissuto ed in ciò in cui credevano ancora fermamente. Quanta dolcezza nei loro visi, più invecchiavano e più imparavano a sorridere di se e volgevano dolce lo sguardo sul mondo che li circondava, sereni e per nulla rabbiosi. Di fronte ai dolori che leggevi nei solchi scavati delle loro rughe ti inchinavi sopraffatto da tanto splendore e saggezza. Ho visto morire solo uno dei due: sembrava dormisse ed era il primo che vedevo nella mia vita, lo amavo forse più di me stessa perchè sapeva leggere dentro di me e non usava la gomma quando non era convinto della sintassi della mia anima. Gli ho toccato la fronte, le mani, tiepide, ho osservato con attenzione il viso distendersi, i muscoli rilassarsi, ho gridato quando hanno fissato le viti del coperchio della cassa in cui era stato deposto. Il rumore del trapano mi ha fatto capire che era partito, il distacco l'ho compreso solo allora e come tutti i giovani ho faticato ad accettare ciò che il tempo mi sussurrava, quell'assenza-presenza priva di suoni tranne quello secco e persistente di un trapano. Sono sempre stupita da ciò che può suscitare l'assenza improvvisa di qualcuno che si dà per scontato come immortale ed invece non lo è. Sto vedendo il dolore quotidiano di genitori che stanno perdendo la lotta contro il cancro che ha colpito i loro figli. La fine di un vecchio uomo è diversa: senza clamori ne emozioni devastanti, ma corrosiva come la ruggine. Chi conosce più segreti di noi, più verità, ci lascia e dobbiamo imparare da soli a cercare le nostre verità, quelle degli altri, i nostri segreti, come ad imparare a camminare. Non ci sono più i loro sorrisi agrodolci ad accompagnare le nostre cadute. Imparare a ridere da soli, forse la fatica più improba per un discendente delle scimmie, di quella Lucy scoperta in Africa nostra antenata ed ora conservata come una reliquia dagli antropologi. Sicuri che sappiamo il motivo per cui commemoriamo i morti oppure siamo solo abituati a rendere una volta all'anno le tombe più pulite, coreografiche, illuminate da lumini elettrici, o da candele che la pioggia od il vento spegnerà immancabilmente prima di essere consumate del tutto? C'è oggi tanta ipocrisia intorno a quelle bare, tanta coreografica mostra di sè, tranne in quelle più recenti, ancora calde per le lacrime versate od il dolore che le ricopre di fiocchi, vasi, scritte, fotografie..... Buon anniversario ovunque voi siate, riposate in pace se potete, questo è l'augurio più sincero proveniente da chi ancora si dibatte quaggiù! Dormire, morire, la stessa cosa credetemi, la stessa identica cosa!

1 commento:

  1. Per me, prendermi cura della tomba dei miei genitori e dei miei suoceri è come continuare a prendermi cura di loro, è come continuare a lavar loro il viso, pettinarli, aiutare a vestirsi proprio come succedeva negli ultimi anni della loro esistenza quando, seguendo la parabola della vita, erano ritornati bambini.
    A proposito del morire che è come dormire, come vorrei poter morire nel sonno quando sarà arrivato il mio momento! E, sempre a proposito di desideri, non mi importa di quando morrò, voglio solo che mi venga risparmiato lo strazio e la perdita della dignità che comporta la malattia grave.Ciao!

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