Scende la sera, immobili sono i prati. Il gorgogliare del ruscello assetato silente tutto il giorno si leva di nuovo. Abbandonata è la quasi falciata pianura, silenziose le stoppie..........E lontano sul puro orizzonte vedi pulsante per la prima stella il liquido cielo sopra la collina.

sabato 16 ottobre 2010

poesia


Morte, non essere troppo orgogliosa,

se anche qualcuno ti chiama terribile e possente

tu non lo sei affatto

perchè quelli che pensi di travolgere

in realtà non muoiono, povera morte,

ne puoi uccidere ma,

se dal riposo e dal sonno

che sono tue immagini

deriva molto piacere,

molto più dovrebbe derivarne da te,

con cui proprio i nostri migliori

se ne vanno, per primi,

tu che riposi le loro ossa e ne liberi l'anima.

Schiava del caso e del destino di re e disperati,

tu che dimori con guerra e con veleno,

con ogni infermità,

l'oppio e l'incanto ci fanno dormire ugualmente

e molto meglio del colpo che ci sferri.

Perchè tanta superbia?

Perchè tanta superbia?

Trascorso un breve sonno,

eternamente, resteremo svegli,

e la morte non sarà più.

Sarai Tu a morire. John Donne.

4 commenti:

  1. ti ho letto da fabio. e qui sei una conferma.

    grazie.

    love, mod

    RispondiElimina
  2. Sono appena rientrata dall'ennesima trasferta da Franci. Ho letto tutti i post scritti recentemente, come sempre sei una grande, questa poesia poi è talmente bella da far accapponare la pelle. Grazie anche da parte mia. Ciao!

    RispondiElimina
  3. bello John Donne, poco altro da dire!

    RispondiElimina
  4. La prima volta che ho sentito recitare questa poesia avevo 16 anni. Non veniva citato l'autore e per anni l'ho riportata come scritta da un anonimo. Scrissi in un biglietto da inviare come una carezza ai parenti di una compagna di studi, deceduta a causa di una malattia fulminante, quei versi. Non ne conoscevo altri di così potenti, le parole non venivano fuori dal cervello in quel momento per esprimere la mia empatia e così usai quella splendida poesia. Dieci anni dopo circa comprai due libri di J. Donne affascinata dalla sua biografia, dalla sua storia d'amore rocambolesca per la moglie e dal suo vissuto cristiano e profondamente terreno che nei suoi testi prendeva forma e, nel suo vissuto quotidiano trovava una traduzione più esplicita. Come tutti i libri di poesie che si rispettano non riuscii a leggerlo tutto d'un fiato. Così passarono gli anni ed all'improvviso riprendendo in mano il libro me la trovai sotto gli occhi, rimanendo senza fiato. Finalmente sapevo chi era l'autore di quei versi e, recentemente, Emma Thompson in un film da lei recitato quasi fosse un monologo l'ha riportata fedelmente e, come solo i grandi attori di teatro prima ancora che di cinema riescono a fare mi ha fatto attorcigliare le budella, commuovendomi con la sua interpretazione. La traduzione cambia ma se un testo poetico è vero e le sue parole potenti si avverte comunque la forza del pensiero ivi espresso.
    Dopo averla letto si comprende come la vita sia per certi versi debitrice alla morte dell'intensità della sua percezione, per la forza con cui ci affanniamo a volte nel tentativo di protrarre quegli istanti felici, o più faticosi da elaborare, fino allo spasimo. Non sappiamo cosa ci aspetta dopo, possiamo avere fede od essere nichilisti, immaginare o credere ad un'altra vita, però rimaniamo ignoranti fino alla fine e quelle ultime parole " ...morte sarai tu a morire!" è un inno alla vita, una sconfitta che si vuole infliggere al nulla, alla teorizzazione del nulla, alla paura del vuoto assoluto che fa venire le vertigini alla nostra anima, facendo sobbalzare la coscienza anche ad un vero credente. Quella paura non ha ne età ne tempo, è eterna più della morte stessa, fa parte della natura umana. Rileggendo quella poesia ho capito successivamente perchè sono diventata infermiera. Non ho paura della morte in sè ma del modo in cui si finisce di respirare. La differenza sta nel non abbandonare mai chi si ama, o per lavoro chi si assiste, lasciandoli soli sul ciglio di un baratro, indolenziti, disperati, spesso apparentemente incoscienti, un baratro da cui un giorno anche noi dovremo affacciarci. Quello che si vede da accompagnatori, per così dire, è solo uno squarcio, un lampo, un barlume e non conta nulla perchè ognuno di noi vedrà qualcosa di diverso al momento opportuno. Aiutare ad iniziare quel nuovo viaggio senza farli sentire disperatamente soli ed abbandonati è ciò che ci rende diversi dagli animali, i quali spesso si allontanano dal branco per andare a morire lontano, quasi a non voler disturbare, intralciare il gruppo, rallentare il suo cammino. Nelle tombe più antiche costruite dagli esseri umani, ritrovate dagli archeologi e dagli antropologi ci sono statuine di terracotta che sono state modellate e messe vicino ai corpi dei defunti come un caro ricordo e, penso, per non lasciarli soli. Tutankamon ed altri faraoni hanno esagerato ovviamente ma in ogni paese e tempo cambiano le usanze e gli strumenti per celebrarle. J. Donne era un testimone acuto del tempo in cui viveva, dove guerre e malattie di ogni tipo comandavano i destini di buona parte dell'umanità ed amo rileggerlo proprio per la dicotomia tra sacro e profano che esprime magistralmente, per la fragilità della natura umana e per quella scintilla divina cha a volte si manifesta incautamente, fortunatamente, anche in una poesia! Sono felice che vi sia piaciuta ,a presto!

    RispondiElimina